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Nessuno tocchi la Costituzione!

Agos

In Italia tutto è lecito tranne che modificare la “Magna Carta” della Repubblica. Ogni tentativo di riformarla è stato sempre affossato, inesorabilmente, dalla forte opposizione di un vasto e composito fronte reazionario che ha stroncato ogni legittima aspettativa di aggiornare l'assetto istituzionale del Bel Paese.
Probabilmente la coalizione oscurantista prevarrà all'appuntamento referendario di ottobre, soffocando ogni velleità di modernizzazione di un sistema paese, incapace di tenere il passo dei tempi.
A complicare le cose è stato, tra l'altro, l'errore del Premier di legare la sopravvivenza  del governo, nonché del suo personale futuro politico alle sorti del Referendum, trasformando, inopinatamente, la consultazione istituzionale in un giudizio politico sul segretario del Partito Democratico.

La sfida lanciata da Matteo Renzi ha prodotto come effetto diretto il rafforzamento  del “Comitato del No” che ha rimpinguato le proprie fila. Ai puri e duri “iper- conservatori costituzionali” e ai “fan della Costituzione più bella del mondo” si sono uniti gli avversari politici del Pd come i pentastellati, la sinistra radicale, qualche ex cespuglio ulivista e i berlusconiani che nei mesi precedenti hanno collaborato fattivamente alla stesura del testo costituzionale di riforma.
In questo momento fa veramente effetto vedere Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, i “Giudici rossi” di Magistratura Democratica a braccetto con Silvio Berlusconi al quale, negli ultimi vent'anni, è stato contestato di tramare disegni autoritari o addirittura “golpisti” dagli stessi “neo-alleati”.
In questo clima la propaganda e la mistificazione reciproca delle parti escluderà una serena, costruttiva ed approfondita discussione nel merito dei temi referendari.
Il popolo italiano, purtroppo, anche questa volta, perderà una grande occasione di avviare le necessarie riforme sull'organizzazione dello stato, che, d'altronde, gli stessi Padri Costituenti auspicavano, essendo consapevoli della debolezza della soluzione approvata in assemblea.
Lo stesso Meuccio Ruini, Presidente della Commissione dei 75, figura chiave dell'assemblea costituente, il 22 dicembre 1947, nella seduta pomeridiana di approvazione definitiva del testo costituzionale, ha sostenuto che prima o poi si sarebbe dovuto affrontare lo scarto tra una prima parte della costituzione, nella quale si aveva “dato vita ad un compromesso di grande qualità”, e una seconda, quella organizzativa, che presentava, invece, “gravi difficoltà” in particolare sulla composizione delle due camere e il loro sistema elettorale, dichiarando, altresì “...noi prima di tutti ne riconosciamo le imperfezioni”.
In tal senso appaiono illuminanti le dichiarazioni di Costantino Mortati: “Alla Costituente io, quale relatore della parte del progetto di Costituzione riguardante il Parlamento, fui tenace sostenitore di un’integrazione della rappresentanza stessa che avrebbe dovuto affermarsi ponendo accanto alla Camera dei deputati un Senato formato su base regionale... Una Camera che fosse rappresentativa dei nuclei regionali offrirebbe il grande vantaggio di fornire quello strumento di coordinamento fra essi e lo Stato che attualmente fa difetto, e che invece si palesa essenziale per conciliare le esigenze autonomistiche con quelle unitarie. Non sono da nascondere le difficoltà pratiche offerte da questo tipo di rappresentanza, ma sembra che sia in questa direzione a cui bisogna avvicinarsi per dare una ragion d’essere a una seconda Camera, che non sia, come avviene per l’attuale Senato, un inutile doppione della prima”.
È risaputo, dunque, che le migliori menti tra i costituenti erano favorevoli o al monocameralismo o ad un bicameralismo differenziato (Senato delle regioni), ipotesi scartate a seguito del cambiamento del contesto politico nazionale ed internazionale del 1947 con la defenestrazione dei comunisti dal Governo di Alcide De Gasperi, in piena, ormai, Guerra Fredda.
È stato allora che per i reciproci sospetti tra comunisti e democristiani si è optato per un assetto costituzionale fondato sulla debolezza dell'esecutivo che escludeva la formazione di governi forti ed efficienti, e sulla creazione di contrappesi forti come il    bicameralismo paritario che garantiva maggiore efficacia.
In altre parole, si vuole mantenere ancora in vita un congegno istituzionale che non funziona, espressione di un compromesso politico legato ad un contesto storico lontano e superato.
Le ragioni (forse comprensibili) di 70 anni fa non hanno motivo di esistere più. Il Mondo è cambiato! Perché non dovrebbe cambiare la costituzione? Perché il paese dovrebbe rimanere legato ad un passato che non c'è più?
“Il complesso del tiranno” ovvero l'avviamento verso la “democrazia autoritaria” sono timori palesemente strumentali. In questi decenni, non vi è chi non vede che il ruolo degli Stati nazionali è mutato, i contrappesi si sono moltiplicati: i governi devono dar conto alla Comunità Europea ed agli Organismi Internazionali, le Regioni hanno sottratto porzioni di poteri al governo centrale, la Corte costituzionale controlla in modo invasivo i poteri dello stato.
Per cui le riforme costituzionali (abolizione del bicameralismo paritario e la formazione di un Senato degli enti territoriali), in aderenza all'iniziale progetto dei padri costituenti (vedi proposta deputato Giovanni Conti II sottocommissione - organizzazione costituzionale dello stato), vanno nella direzione di un potere esecutivo più forte ed efficiente, nonché di un sistema statuale più ordinato, presupposti necessari per un paese più moderno  e civile.
Buona Festa della Repubblica a tutti gli italiani!

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Emanuele Armentano


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