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Fenomeno bullismo

Col termine “bullismo” si indica generalmente nella letteratura psicologica internazionale il fenomeno delle prepotenze perpetrate da bambini e ragazzi nei confronti dei loro coetanei soprattutto in ambito scolastico, riunendo aggressori e vittime in un’unica categoria.
Sebbene tutti i media riportino con ritmi sempre più incalzanti il verificarsi di fenomeni del genere, il problema rimane pressoché sconosciuto o, quanto meno, sottovalutato all’interno della famiglia.
Gran parte dei genitori infatti, pur conoscendo il problema come fenomeno sociale, ritiene, sempre più erroneamente, che il disagio non riguardi da vicino i propri figli.
Il fenomeno, purtroppo, è in rapida e generalizzata espansione a tal punto che sta investendo categorie giovanili sempre più vaste, ivi incluse quelle che una volta venivano identificate come appartenenti al gentil sesso. Il bullismo femminile è una triste realtà che investe ormai un caso su sei. Le statistiche hanno altresì accertato che dietro tali comportamenti che possono essere considerati di tipo asociale, sta sempre una famiglia disgregata o allargata. Una realtà comunque che offre ben pochi punti di riferimento positivi in una fase della crescita che coincide con la formazione della personalità e del carattere.
Chi è vittima di una qualche forma seppure lieve di bullismo infatti, raramente ne parla con gli adulti. Istintivamente tende a chiudersi in se stesso, sorvolando sui torti subiti da parte dei coetanei. La ragione principale di un tale atteggiamento è da ricercare non solo nella paura di ricevere ulteriori violenze, ma anche e principalmente, nel senso di vergogna che la vittima prova, cosciente della propria debolezza, nel non saper reagire alle sempre più numerose e pesanti vessazioni da parte di coetanei  o di maggiore età che, proprio per la loro capacità di emergere come leader, sebbene negativi, raccolgono l’ammirazione, il seguito e la supina obbedienza.
Trovare scuse per non andare a scuola, magari chiedendo insistentemente di essere accompagnato, cosa che non avveniva più da tempo; chiedere insistentemente e con maggior frequenza somme di denaro; mostrare segni di tristezza al termine della giornata scolastica; presentare lividi e graffi o strappi negli indumenti; avere un sonno agitato; lamentarsi per la mancanza di amici; rifiutarsi di raccontare lo svolgersi della giornata scolastica, sono tutti evidenti segnali di bullismo di cui il proprio figlio è vittima e in presenza dei quali la famiglia deve porre la massima attenzione.
Il problema, infatti, va affrontato con decisone e immediatezza prima che possa aggravarsi per la salute fisica e psichica della vittima. Lo status di accondiscendenza a volte è favorito dal carattere remissivo della vittima, spesso originato da una presunta condizione di inferiorità fisica come la necessità di portare occhiali da vista, l’eccessivo peso corporeo che lo rende lento e goffo nei movimenti, o quant’altro.
Naturalmente nulla di tutto questo giustifica un atteggiamento remissivo di fronte ad un coetaneo che con la violenza vuole imporre agli altri il suo dominio fisico e psicologico.
In una situazione del genere diviene determinante l’intervento della famiglia che deve avere col proprio figlio un rapporto sereno fondato sulla stima, la fiducia e la riservatezza. Naturalmente se a monte la famiglia intesa come luogo dell’anima, degli affetti  e del sostegno, non esiste in quanto già sfaldata per mille altri motivi, l’adolescente non può che ripiegare sulla figura del docente, che, in casi del genere si accolla tutti gli oneri di una azione educativa supplementare ma non impropria, di cui nessuno mai potrà dargliene atto, considerato che resta per sempre confinata fra le pieghe di un programma scolastico non scritto in alcun registro di classe.
L’azione educativa della famiglia, o in alternativa, (ma anche di supporto) della scuola, deve essere volta ad accrescere nel bambino l’autostima, incoraggiando lo sviluppo delle abilità, stimolando la creazione di relazioni positive con i coetanei, evitando l’isolamento e l’autoesclusione dalle attività scolastiche di carattere socio-educativo.
L’azione didattica sarà rivolta anche nei confronti del “bullo” mirando, possibilmente col concorso della famiglia, a creare i presupposti di un rapporto costruttivo fra tutti i soggetti interessati, facendo sì che egli si immedesimi e si identifichi col soggetto che, suo malgrado deve sopportare angherie di ogni genere, in maniera tale che possa capire le conseguenze dei suoi comportamenti.
Trattando il problema nella sua genericità, l‘insegnante può predisporre appositi questionari da far compilare agli alunni, organizzare dibattiti e incontri con i genitori, oltre che fra docenti, anche per capire il grado di diffusione del fenomeno. Può, altresì, migliorare l’attività di controllo durante la ricreazione, valutando col concorso dei colleghi, l’opportunità di separare i tempi di fruizione fra più grandi e più piccini.
Gli accorgimenti che si possono adottare sono diversi. Resta comunque il problema di una società sempre più violenta, più materialista, più cinica e indifferente verso il più debole; società che come tale si riversa nella scuola come nella vita.  Una società questa attuale, sempre più indifferente e anonima, salvo poi rigurgiti di buonismo e perbenismo in occasioni particolari quando ci si trova sotto i riflettori dei mezzi di comunicazione di massa che stigmatizzano idee e comportamenti a giusta ragione ritenuti riprovevoli.
Il triste fenomeno rimasto relegato per secoli entro limiti fisiologici, sta ora assumendo dimensioni preoccupanti, specialmente in quelle realtà urbane che raccolgono una popolazione scolastica a rischio dal punto di vista sociale ed economico: alunni che spesso vivono sulla propria pelle il fenomeno del degrado, dell’abbandono, della mancanza di legami familiari fondanti. Realtà spesso originate ed ingigantite da motivazioni etniche, culturali, religiose.
Di fronte a siffatte realtà spesso la scuola si trova sola ed essa stessa emarginata. Le poche forze traggono stimolo non certo dai mezzi messi disposizione dallo Stato, bensì dalla pervicace volontà dei docenti di non rimanere inerti di fronte ad un fenomeno fortemente negativo, tanto per chi lo mette in atto quanto per chi lo subisce. Un triste fenomeno che si svolge sotto i loro occhi e che li vede, in quanto educatori, impegnati in primo piano.
La scuola non è solo una bella realtà gioiosa. Alle volte può diventare un incubo e non solo per aver meritato un brutto voto, ma principalmente perché un coetaneo riversa le sue frustrazioni familiari verso un coetaneo più fortunato. Si, perché quasi sempre di questo si tratta: della presenza o dell’assenza dell’istituzione fondamentale della comunità umana: la famiglia. © Riproduzione riservata



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