
“Dio non poteva essere ovunque è per questo che ha creato le madri”, così recita un proverbio ebraico. Così sembra essere nella realtà delle cose. Le mamme sono ovunque: con il cuore, con l’anima, con il corpo, con lo sguardo, con tutta la loro mammesca essenza. Ci sono sempre. E la loro presenza è tanto più concreta, dolce, vera, quando si riveste di assenza, discrezione, quando è una sorta di patto tacito con i propri figli.
Quando è un dire muto, quando è un dire senza parole, ma con il proprio agire: “Io ci sono e ci sarò sempre, sei parte di me, la più vera, la più totalizzante, ma non voglio che tu ci sia. Tu sei nel mondo. Tu sei della vita”. Perché le mamme, come le donne, come tutti gli esseri umani, non si somigliano. Ognuna (com’è giusto che sia) è mamma a suo modo. E ci sono le mamme che sanno farti volare, sanno farti andar via, e mamme che vorrebbero tenerti sempre per sé (sono quelle che fanno la felicità degli psichiatri). Si è mamme da subito, da quando si scopre di essere incinte. Sì, si è subito mamme, ma in modo astratto, teorico, la relazione con il proprio figlio è un viaggio. Da compiere assieme. Un viaggio chiamato amore, e come tutti gli amori anche questo ha i suoi momenti bui, i suoi conflitti, le sue difficoltà, le sue lacrime. Perché i figli sanno anche far piangere di dolore. Perché le mamme sanno aspettare. E perdonare: sempre. Perché le mamme sono le mamme, ed in questo si assomigliano tutte. In ogni epoca. Mamma le mamme quanto amano! Senza riserve, senza remore. Senza un perché. E’ l’amore più illogico, nel senso di istintivo, che possa esistere. E’ l’amore di una femmina non di una donna, è l’amore di un animale. Nessuno può essere più feroce di una madre che soffre. E’ anche vero che nella difesa del pargolo non si dovrebbe esagerare: i figli crescono, diventano adulti, diventano uomini e donne. E devono imparare a difendersi da soli. Devono essere indipendenti. Non sono eternamente bambini da tenere sotto l’ala protettrice, e forse anche soffocante, della mamma. Nessuna mamma vorrebbe, mi auguro, rivedersi nella signora della pubblicità di (mi sembra) un collutorio. Quella che chiama il suo “bambino” (uomo adulto quarantenne con moglie e figlio) dalle 2 alle 200 volte al giorno, tutti i giorni. Non è amore: è come avere l’obbligo di firma, una sorta di arresti domiciliari. Disponibilità 24 ore su 24. L’amore è saper andar via. E’ come quando si partorisce: si lascia andare via da noi stesse un’altra vita. Con dolore, si regala il mondo. Ecco è quello che per istinto noi mamme facciamo nel momento di un parto, diamo la vita, diciamo “Vai, staccati da me, per sempre, già da questo stesso istante non mi appartieni più. Ti sto dando alla vita. Sei della vita. Vai, nel mondo”. Perché come ci ha ricordato Gibran i figli sono figli della vita. E’ un eterno partorire quello delle madri. Un eterno spingere verso la vita, fuori da noi. E allora dovrò ricordarmi sempre di quelle spinte che si agitavano dentro di me, con l’ansia insaziabile del mondo, e dire a mia figlia “Ginevra, sii della vita. Sii del mondo”. Come dovrò ricordarmi sempre che sono figlia a mia volta, ed è ad una donna che devo tutto.
La donna che mi ha spinto nella vita. Buona festa della mamma. A tutte le mamme. Anche a quelle mancate. A quelle per un’ora. A quelle che lo saranno. Auguri a tutte!
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