CASTROVILLARI Ebbene sì, nel 2015 -che volge al termine-, è ancora necessario incatenarsi per difendere il proprio posto di lavoro. Accade qui, ai piedi del Pollino, di fronte a una moltitudine di persone che guardano consumare il dramma di intere famiglie a cui viene negato, anche dopo trent’anni di duro lavoro, il diritto di conservare un posto di lavoro.
Perché qui il piano di investimenti che Italcementi è stata costretta a presentare, dopo l’incontro al ministero del Lavoro, non prevede benefici per il Sud, anzi lo boccia e nel sito cosentino dispone la trasformazione da fabbrica a centro di macinazione, con tutta una serie di conseguenze sui posti di lavoro. Sì, perché questo significherebbe mandare in cassa integrazione 51 persone e tenerne in organico solo 25. E le maestranze non ci stanno, così come non ci stanno i sindacati, i politici, la chiesa e i cittadini comuni. E la rivolta del Pollino ieri mattina è stata chiara, chiamando a raccolta i sindaci del territorio, il presidente del Parco Pappaterra, l’ex consigliere regionale Gianluca Gallo, il vescovo, i sindacati, le forze dell’ordine, forze politiche varie, comprese quelle di maggioranza e minoranza del consiglio comunale di Castrovillari. Tutti d’accordo a difendere il presidio industriale, a gran voce, anche se è bene sottolineare che quando l’azienda propose un serio piano di investimenti in Calabria, l’allora governo regionale fu sordo e si fece scappare l’opportunità, di cui ora gode la città di Matera. Da allora acqua sotto i ponti ne è passata e molti sono i politici succedutisi. Resta il problema che il territorio a gran voce dice il suo no. I lavoratori non chiedono altro che si rispetti il piano industriale del 2013 (valido fino al 31 gennaio 2016). Dopo la vendita alla tedesca Heidelberg Cement, però, le carte in tavola vengono cambiate e la destinazione è quella di un centro di macinazione. «L’azienda -ha detto Pappaterra- ha avuto un atteggiamento di gravissima irresponsabilità nei confronti del territorio. Si chiedeva di evitare che i lavoratori venissero allontanati da questo stabilimento fino all’arrivo della nuova proprietà. Italcementi ha ricevuto molto da questo territorio, anche sul piano ambientale, oggi non può trattarci così, deve avere rispetto per tanti padri di famiglia che sono arrivati a questo gesto estremo segno evidente che l’azienda è rimasta sorda». A presidiare l’area anche alcune mogli dei lavoratori, che raccontano il dramma di intere famiglie, che già nella chiusura dello stabilimento di Vibo Valentia hanno vissuto con vere e proprie estirpazioni sociali. E sono le stesse a voler scrivere a Papa Francesco per coinvolgerlo in questa battaglia sociale sempre più rischiosa. Anche il presidente Mario Oliverio si è schierato al fianco dei lavoratori, e i sindaci si dicono determinati a non fare un passo indietro considerati, tra gli altri, gli investimenti che Anas e governo stanno facendo proprio sul suolo calabrese. La lotta è appena iniziata e non sarà semplice far ricredere i lavoratori.
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Emanuele Armentano

