Nell’attuale stato di caos internazionale che altro non è che l’evidente processo di definizione dei nuovi equilibri geopolitici mondiali in fieri, tutte le potenze principali, sia globali (Usa, Cina, Russia e India) che regionali (Brasile, Sud Africa, Turchia, Indonesia, Iran, Arabia Saudita, Israele) hanno, comunque, ben chiaro i propri obbiettivi ed interessi strategici da perseguire ad eccezione dell’Europa.
Questa, sebbene negli ultimi duemila anni, nel bene o nel male, è stata il “centro del mondo”, dopo la Seconda guerra mondiale ha perso quella “superiorità” storica (ereditata dalla civiltà greco-romana), essendo state stravolte le condizioni ed i rapporti di forza.
Il quadro si è capovolto: l’Europa da principale attore è diventato il passivo campo da gioco delle contese altrui, divisa dalla cortina di ferro con la parte occidentale ricadente nella sfera di influenza americana, mentre quella orientale nel campo sovietico.
A seguito del crollo del Muro di Berlino, il Vecchio Continente, non essendo più l’area maggiormente contesa del pianeta, è regredito ulteriormente ad un ruolo ancora più marginale in favore di altre zone del mondo come l’estremo Oriente, la Cina e l’Indo-Pacifico.
In effetti, già dal 2011, l’amministrazione Usa, guidata dal presidente democratico Barack Obama, ha lanciato la strategia del “Pivot to Asia”, certificando lo spostamento delle priorità strategiche americane dal continente europeo e dalla Russia all’Indo-pacifico e Cina, proposito ribadito nel report del dipartimento della difesa del 2022, denominato “National defense strategy” nel quale sono espressamente indicati nella Cina (e non la Russia) la principale minaccia per gli Stati Uniti e l’Indo-Pacifico quale teatro internazionale prioritario per lo Stato a stelle e strisce.
Ormai, quindi, essendo venuti meno i protettori storici (Usa), i quali non nascondono una certa insofferenza per un carrozzone burocratico, perché così viene recepita l’Unione Europea dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, che da decenni vive beata e spensierata sulle spalle dei contribuenti americani, oltre che stretta dall’imperialismo Russo alle porte, l’Europa dovrà necessariamente affrontare dei cambiamenti epocali che, se non risolverà con tempestività, sarà inevitabilmente travolta dai competitors internazionali.
Pertanto, questo è il momento di decidere!
Oggi, come non mai, il Vecchio Continente si trova in bilico tra l’opportunità di evolversi verso la costruzione di un’unica soggettività politica di stampo federale che avrà un peso specifico rilevante nel “grande gioco globale”, oppure si avvierà ad un inesorabile declino, destinato all’irrilevanza di cui esempi lampanti sono la vicenda della tragedia di Gaza e la guerra in Ucraina.
Quindi, avendo già una moneta unica forte e consolidata, fattore non secondario, il passo successivo necessario, conditio sine qua non, per non morire è quello di avviare la costruzione politica degli “Stati Uniti d’Europa” con la elezione diretta di un Presidente che rappresenti tutti i cittadini dei ventisette stati aderenti.
Tutto il resto verrà da solo.