Basta con il magistrato Ponzio Pilato

Navanteri

Secondo i dati offerti dal Ministero della Giustizia, il 40/45% dei processi penali, già in primo grado, si concludono con le assoluzioni degli imputati. Per esempio, nel mediatico “Processo Reset”, sulle cosche del cosentino, conclusosi qualche giorno fa, il collegio Bruzio, su 122 imputati, ha assolto circa la metà (60), dopo un’ondata di arresti e sequestri.

Nonostante tali dati dovrebbero indurre ad una maggiore prudenza nei giudizi pendenti, a tutt’oggi, un avviso di garanzia da parte della Procura della Repubblica nei confronti di un cittadino equivale ad una sentenza di colpevolezza anticipata, che resta molto spesso nella pelle delle persone, anche a seguito di una pronuncia di assoluzione piena. 
Tuttora, dopo circa 80 anni dall’introduzione nella Carta Costituzionale del principio della presunzione di non colpevolezza, il predetto fondamento viene del tutto ignorato, sebbene esso costituisca uno dei capisaldi del diritto penale moderno, configurandosi quale fondamentale garanzia per l'individuo sottoposto a procedimento penale.
Come è noto, l’art. 27 della Costituzione Italiana che recita: “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” ha sancito un principio che trova una sua piena affermazione anche sul piano sovranazionale nell’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU), oltre che in tutti gli ordinamenti democratici di stampo liberale. 
L'effettività di tale garanzia, si trova sovente ad essere compromessa dall’interferenza del circuito mediatico e da un sentire sociale sempre più incline alla spettacolarizzazione della giustizia i cui esempi sono, purtroppo, evidenti e copiosi.
In questo scenario, l’imputato, dunque, viene spesso etichettato come colpevole in assenza di un accertamento processuale definitivo con evidenti effetti distorsivi sulla regolarità del giudizio le cui responsabilità vanno ricercate anche nel ruolo dell’informazione perché il diritto di cronaca, pur essendo tutelato dall’articolo 21 della Costituzione, deve, comunque, necessariamente bilanciarsi con altri diritti di pari rango costituzionale, quali la dignità della persona e il diritto ad un equo e giusto processo (vedi art. 111 Cost.). Di conseguenza, la celebrazione di processi mediatici paralleli (attraverso i mezzi di comunicazione), rappresenta una delle principali minacce all'attuazione effettiva della presunzione di non colpevolezza, atteso che la narrazione dei media, tesa alla semplificazione dei fatti e alla loro spettacolarizzazione, contribuisce a creare nell'opinione pubblica un’anticipata rappresentazione della colpevolezza dell'imputato, compromettendo l’imparzialità dell’iter processuale, nonché ledere l’autonomia e l’indipendenza del giudice, il quale, seppur presidiato da garanzie formali e sostanziali, non può certo considerarsi immune dai condizionamenti ambientali e massmediali. 
Il giudice non vive su Marte!
Questi, pur nella sua funzione di terzietà, opera all'interno di una società permeata da interpretazioni ricostruttive dominanti, che possono influenzare, anche inconsciamente o indirettamente, il processo valutativo delle prove.
Gli anzidetti fattori, ancorché latenti, possono alterare il naturale equilibrio del processo, sollecitando il magistrato ad aderire, più o meno consapevolmente, alle attese dell’opinione pubblica. 
I rischi, precedentemente considerati, risultano ancor più evidenti nella fase delle indagini preliminari, ove la divulgazione di informazioni riservate favorisce la formazione di un pregiudizio mediatico difficilmente reversibile o modificabile, oltre all’impossibilità della difesa di interloquire e, quindi, giocare la sua partita. 
Ecco perché è necessario procedere ad una riforma che va nella direzione di un rafforzamento del processo accusatorio pieno, attraverso l’implementazione degli istituti processuali di garanzia a favore dell’imputato, oltre che tener ben distinti il ruolo ed il perimetro dei poteri del Giudice da quello delle parti processuali ed in particolare del Pm, il quale, indebitamente, ha acquisito, negli ultimi 30 anni, una posizione di preminenza, nonché “condizionamento dell’organo giudicante” che il sistema processuale, invece, gli assegna la massima centralità.
A tutto ciò va aggiunto, altresì, l’opportunità dell’adozione di misure legislative più rigorose, come l’inasprimento delle sanzioni per la violazione del segreto istruttorio o la regolamentazione della diffusione di atti processuali che il legislatore, ultimamente, in parte ha introdotto, ma soprattutto un profondo cambiamento culturale nell’ottica di un’implementazione dei programmi di formazione per gli operatori dell'informazione e i giuristi, finalizzati a promuovere una narrazione rispettosa del predetto principio costituzionale. 
Il rispetto della presunzione di non colpevolezza non rappresenta soltanto una salvaguardia per l'imputato, bensì un valore collettivo che tutela la civiltà giuridica delle democrazie liberali contro le derive giustizialiste ed autoritarie. 
Nelle democrazie liberali non c’è spazio per il “magistrato Ponzio Pilato”! 

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