Dieci le province con meno di 220 mila abitanti finite nel mirino della finanziaria (almeno nella sua stesura originaria), che rischiavano la soppressione. Si trattava di Ascoli Piceno, Biella, Crotone, Fermo, Isernia, Massa Carrara, Matera, Rieti, Vercelli, Vibo Valentia.
Ma dopo la generale levata di scudi da parte dei politici che avrebbero dovuto abbandonare le varie cariche, la proposta è subito sparita dal testo in esame e pare già caduta nel dimenticatoio.
Un passo indietro repentino quello di Berlusconi, che la dice lunga sulla eventualità di un qualsiasi riforma dell’amministrazione statale che vada nella direzione dello snellimento burocratico e della riduzione dei costi della politica. Una eventualità questa della abolizione delle province che faceva già parte delle molte promesse elettorali strombazzate dal centro destra nelle ultime consultazioni elettorali, poi rimasta, come tante altre, lettera morta, sebbene l’istituto della Provincia pareva aver concluso il suo ciclo vitale sin dal 1970, quando venero istituite le autonomie regionali, ultimo adempimento costituzionale ancora rimasto sulla carta dal 1948.
Le Province, quindi, resistono e aumentano di numero. In 150 anni circa di storia unitaria il loro numero è quasi raddoppiato passando da 59 nel 1861, a 110 nel 2004. Forse solo Castrovillari, nonostante la sua speranza risalga ad almeno mezzo secolo fà, non ha più raggiunto questo “sogno”. Oggi la crisi economica mondiale pareva offrire una buona motivazione per la loro abolizione, ma ancora una volta sembrano aver superato il punto critico, evidenziando quella che secondo i diretti interessati (politici e amnistiativi), dovrebbe essere (e in tanti casi sicuramente lo sarà), la grande funzione amministrativa che conducono sul territorio.
Ma tutta la vicenda del tentativo di abolire 10 province mantiene molti lati oscuri, a partire dal numero degli abitanti stabilito in 220 mila. Considerato che venivano “graziate” le province di confine e delle isole, la prima a cadere sarebbe stata Ascoli Piceno (abitanti 212.846) e per ultima Isernia (abitanti 88.895). Se si pone lo sguardo sull’aspetto politico, si nota che sei sono amministrate dal Centro Sinistra, due dal Centro Destra e due da liste civiche.
Ma tutto questo è nulla se si considera che le province non si aboliscono solo perché costano troppo o perché svolgono funzioni che si sovrappongono a quelle regionali o quant’altro. Tutto questo denota una certa improvvisazione o una finta volontà di procedere alla loro soppressione. L’Ente Provincia, in quanto espressamente previsto dall’art. 114 della Costituzione, può essere abolito solo previa modifica della Carta Costituzionale e non mediane un semplice Decreto Legge. Scartando l’ipotesi di un Presidente del Consiglio che non sa quali siano le sue prerogative, viene da pensare, quanto meno, che si sia trattato di un errore di un qualche “sottoposto”, poi sanato con l’immediata sparizione di una norma che aveva già creato uno scompiglio generale.
Certo, l’abolizione anche solo di 10 province, ferme restando le altre 100, avrebbe costretto migliaia di persone che vivono di politica a fare le valige. E ciò non sarebbe stato indolore in corso d’opera. D’altronde bisogna considerare che i costi della politica stanno diventando esorbitanti anche in virtù del proliferare di cariche e di Enti, (fra i quali le Comunità Montane, le Aree Metropolitane), per cui “tagliare” diventerà in maniera sempre più pressante, una strada obbligata.
Gianfranco Fabi in un articolo su “Il Sole 24 Ore” di alcuni mesi fà, stimava il costo delle province in 17 miliardi di €uro. «Senza illudersi di azzerare questa uscita – scriveva Fabi – si può ipotizzare che l’eliminazione degli emolumenti degli eletti, l’alienazione di beni immobili non più necessari per servizi già svolti da altre amministrazioni pubbliche, nonché l’abbattimento conseguente della spesa delle gestioni …(omissis)…, produrrebbe un risparmio significativo…(omissis). Per contro cadrebbero le migliaia di consulenze cui le Province hanno fatto ricorso in questi anni…(omissis). Le attuali competenze delle amministrazioni provinciali sarebbero svolte dalle Regioni e dai Comuni».
L’operazione, per quanto macchinosa, in quanto si configurerebbe come modifica dell’assetto costituzionale, in presenza di una effettiva volontà politica, non dovrebbe rivestire particolari difficoltà. Ma siatene certi: non se ne farà nulla.
Non se ne farà nulla anche perché la Lega è nettamente contraria alla loro abolizione. Illuminante è a questo proposito la posizione, almeno quella iniziale del Ministro Maroni, che ebbe a dire in proposito:«…Sarebbe una grande riforma, ma sarebbe sbagliata perché gran parte delle province italiane ha una funzione fondamentale per come è organizzato il nostro territorio».
Ultimamente, però, qualcosa sembra muoversi all’interno del Governo, visto che lo stesso Maroni, cambiando registro, ha dichiarato che le province (tutte) potrebbero restare formalmente vigenti, ma verrebbero svuotate di ogni ruolo istituzionale e quindi non avrebbero alcun costo, almeno dal punto di vista politico. Non vi sarebbero più consiglieri eletti. La funzione di Presidente verrebbe assolta dal sindaco del capoluogo di provincia e ai consiglieri provinciali attualmente eletti in rappresentanza dei vari partiti, subentrerebbero i sindaci del territorio. Tra cittadino e Stato rimarrebbero quindi solo due livelli: Regione e Comune. Le Province si trasformerebbero, quindi, in una sorta di consorzio funzionale, senza rappresentanti eletti, senza spese e senza costi.
Sarà vero tutto ciò ? Non è detto se si considera che all’articolo 12 della legge istitutiva del federalismo fiscale sono previsti nuovi tributi che le province potranno imporre ai poveri cittadini. E ancora, il successivo articolo 13 prevede l’istituzione di un “fondo perequativo” per le province. No si capisce quindi perchè un Ente svuotato di ogni ruolo debba e possa imporre nuove tasse per garantissi l’autonomia finanziaria e a che serve “perequare” se le Province verranno di fatto abolite. Dubitare della chiarezza di idee del Governo è quantomeno lecito e spontaneo.