Il Mondo laico, il mondo cattolico, il mondo anarchico ed anche quello gay “tutti uniti appassionatamente”, senza pregiudizi di sorta, a festeggiare il labor day. Tutto ha avuto origine negli Stati Uniti, ove le associazioni dei lavoratori, dopo tante lotte, hanno ottenuto il diritto di fissare l'orario di lavoro quotidiano a otto ore. Lotte operaie, battaglie politiche e scioperi sociali hanno portato a quel Quarto Stato in cui il socialismo, ancora oggi, si riconosce e si riflette.

Da allora ne è passata acqua sotto i ponti: nel mondo occidentale i lavoratori hanno conquistato una serie di diritti, tutele e garanzie elevati ed onerosi da sostenere (secondo alcuni) dal sistema produttivo, tant’è che negli ultimi decenni si è verificata una controtendenza ovvero una reazione delle forze conservatrici tese al ridimensionamento proprio di quei diritti sociali acquisiti con tanta fatica e sacrifici.
Ormai, negli ultimi anni, il “Primo Maggio” si è trasformato nella festa dei “non-lavoratori” ovvero dei disoccupati, dei pensionati, degli studenti o di tutti quei soggetti che sono fuori dal mondo del lavoro, mentre i lavoratori sono impegnati a difendere in solitudine la propria occupazione sempre più traballante e precaria, che rappresenta, comunque, l’unica risorsa del “proletariato” per affrontare il futuro.
Ma i popoli nella storia non mutano, preferiscono “panem et circenses”. E chi se ne frega della disoccupazione e del futuro!
Gli uomini moderni vivono la contemporaneità. Applicano il “carpe diem” (e tutto sommato forse non è un male).
Per cui, al di là di tutto, oggi, il Primo Maggio in Italia (e non solo in Italia) rappresenta un appuntamento fisso per una enorme massa di gente che, vuoi o non vuoi, si affaccia a quel consumismo sfrenato che porta in piazza centinaia di migliaia di persone unite, almeno per una volta, sotto il segno della musica. Da qualche anno, come se non bastasse, al concertone di Roma, diventato emblema italiano della “festa di piazza”, si è unito quello di Taranto che, a colpi di cast, continua ad acquisire successo e consensi, soprattutto sotto il profilo delle connotazioni politiche. E sarà questa la scia che, anche quest'anno, delineerà il Primo Maggio tricolore, una giornata da trascorrere per i più fuori porta, grazie anche all'incastro dei giorni della settimana, e per tanti nelle piazze sopracitate a suon di rock.
E se da un lato le apparenze mostrano un “clima di distensione”, almeno per questo “benedetto giorno”, dall'altro non deve sfuggire il grave dramma che la crisi economica, osannata e ostentata all'unisono da tutti i cittadini (di destra e di sinistra, laici e cattolici), continua a far vivere alla popolazione italiana. Il tasso di disoccupazione (13% disoccupazione totale e 43% disoccupazione giovanile), lungo tutto lo Stivale, assume contorni allarmanti non solo per gli italiani ma anche per i Paesi del mondo che, alla finestra, stanno a guardare l'evoluzione di uno Stato mentre “dentro casa” progettano e promuovono uno sviluppo che garantisce tranquillità a chissà quante generazioni. Il welfare state, com'è stato conosciuto nel secolo scorso, non è più sostenibile. In Italia, rammarica dirlo, nell’ultimo lustro, non solo l'andamento industriale ha subìto una pericolosa frenata con conseguenze drammatiche in termini sociali. In particolare, la Cig (Cassa integrazione) è aumentata del 230%, dopo i licenziamenti di massa verificatisi in questi anni. La crisi del 2007-2008 da crisi finanziaria si è trasformata in crisi sistemica, comportando dei costi sociali altissimi con riflessi tragici sulle persone e sulle famiglie. Non si deve dimenticare, infatti, come molti italiani abbiano deciso di pagare con la vita quel “prezzo” stabilito, forse un po' troppo spesso, da inadeguati e sconsiderati atteggiamenti burocratici miopi, distratti e indifferenti rispetto a quelle che potevano essere le necessità delle aziende. Ed è in questo stato di cose che oggi il fardello più pesante, sulle spalle del mondo del lavoro, continua a gravare mentre attorno l'indifferenza sembra regnare sovrana.
Non basta! La riforma Fornero pare avere una falla che è costata circa 5milioni di euro, mentre l'azione di governo denominata “Jobs Act”, secondo i primi dati economici, sembra essere partita in sordina. Sarà pur presto per dare un giudizio definitivo, ma il trend iniziale sembra segnare una diminuzione dei lavoratori occupati e un aumento della disoccupazione giovanile. In questo clima di paura e confusione generale, con vite ammazzate che pendono sulle spalle di tutta la società, bisogna domandarsi con che spirito si festeggia questo Primo Maggio. Quali saranno i moti dell'animo che spingono i “non lavoratori” ad aderire a questa baldoria nazionale promossa e sponsorizzata appassionatamente da sindacati e forze politiche? Quel principio da cui tutto è partito, ossia la difesa del diritto di avere otto ore di lavoro quotidiano, è forse oggi barattato con il diritto di staccare la spina, almeno il giorno della festa dei lavoratori, e non pensare ai problemi, tanti, che il mondo del lavoro affronta ogni giorno? Ci saranno pure i precari, in piazza, a sventolare bandiere piene di simboli e a promuovere slogan che, lo abbiamo capito, lasciano il tempo che trovano mentre la politica è intenta a pensare ad altro?
Allora perché non cambiamo? Perché il Primo Maggio da festa dei lavoratori non la rimoduliamo nella festa del diritto al lavoro? Perché il concertone di Piazza San Giovanni non lo trasformiamo in un mega atto propiziatorio collettivo? Almeno così avremo un motivo per festeggiare!
Solo così il Primo Maggio sarà la festa del lavoro, quel lavoro che manca e rappresenta comunque la condizione irrinunciabile per essere uomini liberi e con una propria dignità.
Buon primo maggio a tutti!!!

L'Editoriale

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