Navanteri

Per chi bazzica i tortuosi sentieri dell’informatica l’irritante scritta “Errore 404” rappresenta un ostacolo insormontabile, dal momento che l’internauta si ritrova dinanzi ad una pagina bianca non in grado di restituire una risorsa ‒ e dunque un’informazione ‒ richiesta, segno tangibile di un sistema che, per quanto efficiente, mostra comunque falle e momenti di vulnerabilità.

Bnl


Ne scaturisce un’ovvia sensazione di smarrimento che ben ci fa comprendere lo stato d’animo della miriade di psicologi dinanzi ai quali Andrea Arcadi, enigmatico protagonista del romanzo di Sacha Naspini, si presenta nel vano tentativo di riportare ordine tra le sue sconclusionate idee.
Ognuno avanza una teoria e cerca di avviare un piano terapeutico ma, nonostante fogli di appunti e domande ad effetto, l’inquieto paziente sguscia a mo’ di inafferrabile anguilla tra fantasie inarrestabili e di difficile classificazione prodotte da meningi ormai irrimediabilmente compromesse.
Arcadi nella sua ricostruzione frammentata rimane ancorato ad una logica tale solo per lui e non certo per il senso comune: crede di poter alterare eventi passati e futuri, rivivendoli o anticipandoli, tramite uno stravolto senso del gusto, indubbia degenerazione del potere evocativo delle cose di proustiana memoria.
Con lucidità maniacale ‒ è proprio il caso di dirlo! ‒ questo strano quarantenne sostiene di poter viaggiare nel tempo e vivere, contemporaneamente, futuri dagli esiti addirittura opposti.
Pertanto, il folle Arcadi si ritrova sposato e single nello stesso momento, con prole e senza, accompagnato dal ricordo di un padre che è morto prematuramente in una versione della storia ed è vecchio e languente in un’altra.
Insomma, l’identità si polverizza e ci si ritrova dinanzi allo scenario pirandelliano di un personaggio in grado di essere uno, nessuno e centomila volti di una realtà che forse ‒ e qui il dubbio è d’obbligo ‒ neppure esiste.
Poco importa se Andrea Arcadi è il galantuomo direttore di una rivista in voga o colui che tenta di stuprare una compagna dei tempi del liceo, poiché gli universi creati dai suoi vaneggiamenti sono infiniti e inesplorabili ed ogni scelta ‒ che sia consapevole o meno ‒ distrugge e crea innumerevoli possibilità che oscillano tra l’essere e il nulla, l’esistenza e la potenzialità inespressa.
Del resto, lo stesso Naspini, quasi a voler chiosare su questo infinito ventaglio di probabilità, si abbandona ad una cruda, ma inoppugnabile riflessione: «La verità è che siamo tutti assassini. Ogni minima scelta produce un mondo nuovo; ne decapita mille».  
Errore 404 è un romanzo ostico, imprevedibile, allucinato e allucinante, percorso da continui cambi di prospettiva, reso instabile da verità dai piedi d’argilla pronte ad infrangersi per lasciar spazio a versioni della storia solo apparentemente più credibili.
Il lettore ne rimane avvinto e ne esce sicuramente confuso, ma abbrancato dall’inevitabile desiderio di rileggere l’intero volume per rimettere nella giusta posizione i tasselli di un mosaico la cui immagine appare labile e di difficile interpretazione ad una prima e superficiale lettura.
Il virtuosismo di Naspini è lodevole, ma ancor più mirabile è una conclusione che semina il dubbio atroce di aver seguito per un tratto di strada un personaggio nato dalla penna solo per far da protagonista di un altro romanzo in fieri che qualcuno ‒ non diremo chi ‒ sta scrivendo all’interno del romanzo stesso.
Potrebbe ‒ il condizionale è indispensabile ‒ trattarsi di metaletteratura o, più prosaicamente, del risultato dell’opera di un umano demiurgo impazzito al quale piace tremendamente il gioco di specchi in cui la realtà ‒ o presunta tale ‒ si riverbera, muta, si ritrova e si dissolve all’infinito.
Il buon vecchio Borges amava i labirinti, Naspini ne costruisce uno in cui il proverbiale filo d’Arianna che indica l’uscita è la spaventosa allotriofagia ‒ insolita maniera di definire l’ingestione di sostanze nient’affatto nutritive ‒ di un personaggio folle il cui appetito, reale e metaforico, diventa esperienza di costruzione e demolizione. In fin dei conti, siamo tutti affamati di vita e di felicità e ciò, di fatto, accorcia le distanze che ci separano dal dissennato Andrea Arcadi.

 

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