Dietro il protocollo intergovernativo firmato ieri tra la Meloni ed il Presidente albanese Edi Rama a Villa Pamphili c’è, in realtà, in ballo la necessità strategica di contrastare l’espansionismo nel Mare Nostrum di Ankara, la quale, nell’ottica del neo-imperialismo turco, da circa un decennio, ha intrapreso una politica di penetrazione politico-militare e commerciale nel mediterraneo centro-occidentale e nei Balcani, minacciando, di fatto, il ruolo centrale, nonché l’influenza, dell’Italia nel contesto regionale.
Specificatamente, le direttrici verso le quali la Turchia si è concentrata negli ultimi anni sono state molteplici, quasi tutte, comunque, con il Mediterraneo al centro del disegno strategico geopolitico. Dai Balcani Occidentali (spina nel fianco dell’estinto impero asburgico), al Nord Africa (Libia) e al Sahel, alle isole greche del Mar Egeo, per passare dal Mar Nero e giungere all’Azerbaijan.
In tale scenario, tuttavia, ciò che dovrebbe destare forte preoccupazione per l’Italia resta soprattutto il posizionamento della Turchia in Tripolitania, dopo la disastrosa stagione delle primavere arabe (ed il crollo del regime di Gheddafi), nonché l’influenza in Albania della Repubblica della Mezzaluna.
In effetti, nella totale indifferenza nostrana nei Balcani occidentali la Turchia ha intrapreso, in coerenza alle proprie mire, un’opera di forte sostegno allo sviluppo della regione e di cooperazione militare ed economica, anche attraverso un sapiente e pervasivo ricorso al proprio soft power, alla cultura turca ed alla religione islamica, puntando sull’Albania come il paese chiave dell’anzidetto espansionismo nella regione, già storicamente fondamentale nella penetrazione dell’Impero Ottomano nell’Europa Centrale in seguito alla presa dei principati albanesi avvenuta tra il XIV e XV secolo (come gli Arbëreshë ben conoscono). Attraverso una politica panislamista e militare (vedi costruzioni mosche, accordo di addestramento esercito albanese), la Turchia ha inteso creare un inscindibile legame con Tirana, guida per tutte le popolazioni di etnia albanese (ed islamiche) insediate nei Paesi della regione (Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Kosovo) al fine di esercitare una pervasiva influenza nelle dinamiche balcaniche, nonché presentarsi, anche in questa area geografica, a ridosso dell’Europa centrale come potenza equilibratrice. Insomma, la Turchia è entrata nel “Paese delle aquile,” e dunque nei Balcani occidentali, ed è lì che intende restare con buona pace dell’Italia alla quale, però, la situazione che si sta profilando va contro i propri interessi, essendo l’Albania (ed anche la Libia), in funzione di spazio geografico oltre i confini nazionali, vitale per la propria sicurezza difensiva.
Pertanto, gli accordi di potenziamento della collaborazione di Roma del 13.11.2025 vanno nell’efficace direzione di invertire la rotta, finalizzato a ripristinare quel rapporto, storicamente privilegiato tra le due sponde dell’Adriatico, impedendo ad Ankara (e le altre potenze che si stanno affacciando sul Mediterraneo) di inglobare l’Italia nel dominio imperialista ottomano e farla scivolare all’interno della più totale irrilevanza nel contesto geopolitico globale.
Di conseguenza, se non si vuole abdicare allo spazio di protezione e d’influenza necessario per contare nel mondo, sarà inevitabile che il Bel Paese dovrà riacquistare quella proiezione marinara (e mediterranea), la cui vocazione è stata abbandonata con la costruzione risorgimentale dello stato sabaudo-lombardo, del tutto continentale e legato all’Europa teutonica, per ritornare nelle coste, giammai per fare il bagno durante il mese di agosto, bensì per gestire (e controllare) le rotte mediterranee, ormai, oltremisura strategiche nel villaggio globale, offrendo un’opportunità all’Italia per rimanere ancora protagonista nel grande gioco.
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