Navanteri

Le regionali del 3 ottobre 2021 diedero un ulteriore chiaro quadro della situazione di sfiducia degli elettori calabresi nei confronti della politica regionale. Vinse, infatti, in quella occasione (come del resto era già successo nel 2020 e nel 2014) l'astensionismo.

Il dato allarmante, che dovrebbe farci tremare, è che la partecipazione al voto dei calabresi si attesta attorno al 44% degli aventi diritto, chiaro segno di una apatia strutturale verso chi promette le famose “montagne di pilu” (cit. Laqualunque). Purtroppo, però, dobbiamo riconoscere che alla fine della fiera, chi governa la Regione lo fa con il mandato formale di una minoranza. Questo non è solo un dato statistico: è una frattura democratica. 
Quando più della metà degli elettori diserta le urne, la competizione politica perde di legittimità e si trasforma evidentemente in un gioco gestibile da pochi. L’astensionismo, in Calabria, si è trasformato in un “partito del non voto” che determina di fatto l’esito delle elezioni. 
Per capire il senso di questo, possiamo cercare molteplici spiegazioni che si intrecciano fra loro: disillusione verso le classi dirigenti, scarso appeal delle proposte elettorali, senso di lontananza delle istituzioni. La letteratura politica recente indica che quando l’offerta politica è poco attraente o percepita come neutra, l’elettore tende a disertare le urne, fenomeno che abbiamo visto anche in altre regioni italiane. Il caso calabrese appare però acuito da una cultura politica di lunga durata e da un rapporto cliente-clientela che logora fiducia e partecipazione.
E allora, esistono antidoti a questo stato di cose? La politica sa quello che sta accadendo e prova a correre ai ripari. Uno è quello (pragmatico e spesso efficace) di puntare su candidati “vicini”, sindaci e volti riconoscibili sul territorio; la mobilitazione territoriale può smuovere elettori disincantati. Ma è insufficiente: senza una strategia che ricostruisca fiducia e servizi, il richiamo all’identità locale resta un palliativo.
La sfida è quindi duplice e urgente. Primo: rimettere la politica al lavoro reale (sanità, lavoro, infrastrutture) mostrando risultati concreti e misurabili. Secondo: riaprire il patto civico con i cittadini attraverso educazione civica, politiche partecipative e trasparenza amministrativa. 
Le proposte tecniche non mancano: la Commissione per la partecipazione ha raccolto linee guida per incentivare il voto e ridurre le barriere, dalla semplificazione delle procedure di voto all’educazione civica nelle scuole. Ma la politica locale deve mostrarne la volontà.
In ultima analisi, l’astensionismo calabrese non è una condanna ineluttabile ma un monito. La democrazia si nutre di partecipazione; quando gli elettori si ritirano, la responsabilità ricade su chi governa e su chi propone. Riportare la Calabria alle urne significa restituire voce alla maggioranza silenziosa: non è un compito tecnico, è un obbligo civile.

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