Alcuni libri sono come bombe. Piovono all’improvviso, devastano presunte certezze, scardinano atavici pregiudizi, polverizzano consolidate ed immotivate divisioni, ma non feriscono e non uccidono, al contrario, hanno il potere di far risorgere la vita dimenticata, il messaggio di pace e fraternità che è stato costretto per lungo tempo a sopravvivere in sordina, fluendo in maniera carsica nei nostri animi sopraffatti e distratti da superficialità e indifferenza a cui la società contemporanea ci ha tristemente abituato.


Barche di sabbia è, senza timore di smentita, uno di questi libri, il cui pregio principale è quello di confrontarsi con la verità che non si arrende al conformismo e non si piega alle ciniche logiche del mercato e dell’interesse. 
Il suo autore, Emanuele Armentano, ci racconta una storia dal retrogusto amaro, ma dall’incontestabile capacità di far riflettere attorno ad un valore ‒ quello dell’umanità ‒ che infelicemente va sempre più sbiadendosi, nonostante gli accorati appelli in senso contrario di inascoltate religioni e altrettanto ignorate filosofie.
Il tema di queste pagine è antico quanto il mondo: le migrazioni, infatti, hanno sempre accompagnato le vicende dell’Uomo, consentendo una indiscutibile evoluzione dovuta non soltanto al movimento di uomini e donne verso nuove patrie ma, soprattutto, alla conseguente propagazione e integrazione di usi, costumi, credenze e tradizioni che ogni migrante porta inevitabilmente con sé.
Malgrado ciò, il costruttivo dinamismo del fenomeno migratorio è costantemente sotto attacco a causa di movimenti politici e culturali che, fomentando l’ancestrale e irrazionale paura verso lo straniero, alimentano i propri bacini elettorali e contribuiscono a diffondere con sempre maggior destrezza persuasiva un impalpabile insicurezza che, immancabilmente, influenza in negativo il linguaggio e gli atteggiamenti di ognuno verso chi ha tratti somatici differenti, parla idiomi poco comprensibili o prega secondo consuetudini diverse dalle nostre.
Armentano dà voce a due giovani migranti gambiani ‒ Abubacarr Conteh e Ousman Susso ‒ che, spinti da una povertà che si traduce in fame, mancanza di cure e scarsa istruzione, abbandonano la propria terra e gli affetti più cari per affrontare un viaggio di circa seimila chilometri che li condurrà sulle coste italiche, dove potranno finalmente abbracciare uno stile di vita dignitoso che, in un contesto più giusto, dovrebbe essere affermata regola ma che, di fatto, è agognata eccezione.
Tra i malesseri del continente africano ‒ ai quali, è inutile nasconderlo, anche noi europei abbiamo pesantemente contribuito ‒ e l’accoglienza della solidarietà italiana si frappongono due interminabili anni in cui i protagonisti del reportage di Armentano subiscono angherie, pestaggi, estorsioni e violenze di ogni sorta dagli stessi conterranei che, artefici di un paradossale razzismo autoctono, cercano di far fruttare la disperazione di pletore di migranti, partecipando al lucroso e criminale business dei trafficanti arabi che gestiscono le tratte umane e ne controllano le rotte.
Abubacarr e Ousman patiscono sulla propria pelle dolorose sofferenze fisiche, psicologiche e morali che si imprimono nei ricordi e temprano il loro carattere a tal punto da riuscire a trasmettere, per mezzo della testimonianza, la paura e lo smarrimento che li hanno quotidianamente accompagnati nel percorrere il rovente deserto del Sahara su sgangherati pick up e nell’attraversare pericolosamente il Mediterraneo su un barcone sovraffollato e inadatto a sostenere l’urto delle onde e il mulinare delle correnti d’alto mare.
La tensione che sfibra e la granitica volontà di sopravvivenza, al di là dei giustificabili momenti di scoramento, si respirano appieno nel testo di Armentano, che coinvolge e commuove il lettore restituendo ‒ anche grazie ad uno stile fresco e mai ampolloso ‒ il dramma di due giovani vite che, a conti fatti, son riemerse da un inferno generato e popolato dalla cattiveria di altri uomini.
Esito opposto ha avuto invece il viaggio dei migranti affondati nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 a poca distanza dalla spiaggia di Steccato di Cutro (Kr), tragico episodio ‒ inserito ormai tra i capitoli più bui della storia nazionale ‒ con cui si apre il libro, quasi un monito a chi pretenderebbe di approcciarsi alla lettura con inopportuna leggerezza e, al contempo, invito a rammentare che al fortunoso approdo dei due protagonisti fanno da contraltare centinaia di altre storie che, spesso, terminano nella lugubre sintesi di una sigla impressa su una bara che avvolge crudelmente corpi che mai avranno un nome e il conforto di una lacrima amica.
Barche di sabbia, arricchito dalla colta prefazione di monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Cei, e dall’incisiva presentazione dell’eurodeputato Mimmo Lucano, impreziosisce e dona vigore al grido di quegli umili che abbiamo smesso di ascoltare, offrendoci una lezione e un esempio dall’altissimo valore educativo di fronte a cui riemerge impellente il bisogno di non rimanere muti dinanzi alle intollerabili ingiustizie del mondo.
«Io sono qui per far sì che domani non si dica: i tempi erano oscuri perché loro hanno taciuto» recita un celebre personaggio di un vecchio film di Roberto Andò. È giunto il tempo di essere scomodi e parlare. 

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