Oggi è Black Friday, come stanno andando i vostri acquisti?
Il rito globale del consumo ha ufficialmente invaso ogni angolo del pianeta, trasformando un semplice venerdì di novembre in un fenomeno culturale, economico e psicologico.
Ma più la data diventa familiare, più una domanda chiede una risposta: è davvero il giorno degli affari, oppure si tratta della più grande illusione commerciale del nostro tempo?
L’origine, lo sappiamo, non è romantica. Negli anni Sessanta a Philadelphia il termine “Black Friday” indicava il caos: traffico paralizzato, negoziatori assediati, poliziotti allo stremo. Poi il marketing -perché il marketing vince sempre- lo ha ribattezzato come il giorno in cui i conti passano “dal rosso al nero”. E da lì è stato un trionfo planetario: il Black Friday si è allungato, gonfiato, moltiplicato fino a diventare una settimana, un mese, uno stato mentale permanente.
I numeri parlano chiaro. Negli Stati Uniti il weekend del Black Friday è ormai il più frequentato dell’anno; in Italia sette persone su dieci dichiarano che approfitteranno delle offerte. Ma la vera domanda è: approfittano veramente?
Le ricerche degli analisti più autorevoli dicono altro. Molti prodotti non raggiungono in questi giorni il loro prezzo più basso dell’anno; spesso sono il risultato di una strategia di “price anchoring”: prima si alza il prezzo, poi si applica lo sconto, e il consumatore -ingolosito dal meno 40%- non si accorge che sta comprando a un prezzo normale, quando va bene. Le piattaforme digitali utilizzano algoritmi sofisticati che modulano i costi in base al comportamento degli utenti, alla disponibilità in magazzino, perfino al modello di smartphone da cui si acquista. È la nuova frontiera del consumo: credere di scegliere liberamente mentre si risponde a una coreografia scritta da altri.
E poi c’è la psicologia, quella vera: il meccanismo della “scarcity”, la paura di perdere l’occasione, l’adrenalina del conto alla rovescia, il carrello che si svuota se non fai in fretta. Sono pulsioni primarie, che annullano la capacità di valutazione. A questo si aggiunge il boom del cosiddetto “BNPL” (buy now, pay later) “compra ora, paga dopo”: la promessa di pagare in comode rate quello che forse, in verità, non serve. È la porta d’ingresso al debito facile, la forma di schiavitù più moderna e indolore.
Eppure non tutto è inganno. Alcune imprese, soprattutto le piccole, provano a usare il Black Friday come vetrina per farsi conoscere, per fidelizzare clienti, per raccontare un’identità locale che le grandi piattaforme non potranno mai imitare. Ma serve strategia, non imitazione cieca; serve qualità, non sconti finti; serve autenticità, non fuochi d’artificio digitali.
Allora, come orientarsi?
Con una regola semplice e rivoluzionaria: il vero affare è comprare solo ciò che serve davvero. Tutto il resto è polvere negli occhi. Perché il Black Friday non misura la convenienza di un prodotto: misura la nostra capacità di resistere alla manipolazione dolce del mercato. È il termometro di quanto la nostra autonomia di consumatori sia intatta o quanto sia già stata colonizzata da scelte che crediamo nostre, ma non lo sono.
Il compito non è demonizzare il Black Friday, ma smontarne i meccanismi. Guardare il prezzo storico, non la percentuale di sconto; evitare gli acquisti impulsivi figli del timer; scegliere consapevolmente di sostenere ciò che genera valore reale, non solo traffico e incassi per pochi colossi.
Perché la verità è questa: il Black Friday non ci chiede di essere più furbi. Ci chiede di essere più liberi. E oggi, nella stagione in cui tutto ci spinge a comprare, l’atto più rivoluzionario potrebbe essere un altro: pensare prima di cliccare.
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