Navanteri

L’attacco diretto di Elly Schlein a Giorgia Meloni al Congresso dei socialisti europei ad Amsterdam ha aperto la campagna referendaria sulla riforma costituzionale della separazione delle carriere dei magistrati il cui iter legislativo dovrebbe concludersi entro il mese di ottobre.

Già, quindi, dai primi segnali il dibattito sulla riforma non preannuncia nulla di buono perché la esasperata polarizzazione delle posizioni a favore o contro la revisione degli articoli 104 e 105 della Costituzione (oltre al ritocco anche ad altri articoli correlati 87, 106, 107 e 110 cost.) non offrono ai cittadini una reale riflessione, seria ed equilibrata, sulla valenza nel merito, esclusivamente tecnica, dell’utilità alla modifica dell’assetto dell’ordinamento giudiziario.
Del tutto fuorviante, in tal senso, appare l’impostazione della discussione da parte del campo largo, ritenendo che “dobbiamo lanciare messaggi semplici ed efficaci per far capire che la posta in gioco non è rappresentata dagli aspetti tecnici della riforma ma dal fatto che è un ulteriore passo verso la democrazia totalitaria, quella della destra, secondo cui chi vince può tutto”, per come si evince dalle dichiarazioni del senatore del PD, Andrea Giorgis, membro della commissione Affari costituzionali che ha seguito per i dem. l’iter del ddl, oppure quelle di Dario Franceschini: “Dovremo dire che bisogna fermare le pericolose tentazioni autoritarie della destra”.
Parimenti controproducente si dimostra la schematica risposta dei fautori della separazione delle carriere, come quella del Ministro Nordio, il quale pur sapendo che il mondo della giustizia presenta vizi strutturali atavici ed irrisolti, oltre che delle criticità molto più complesse ed articolate rispetto la portata della riforma in sé, ha dichiarato, con sproporzionata euforia che “la separazione delle carriere rappresenta la riforma delle riforme che renderà la giustizia più equa, efficiente e snella”.
Del tutto nociva si rivelerà a medio-lungo termine, altresì, l’eccessiva esposizione nella campagna referendaria dell’Anm (Associazione nazionale magistrati), nonché dell’avvocatura penale italiana (Unione delle camere penali italiane) che di fatto, scendendo direttamente nella battaglia politica tout court, stanno concorrendo faziosamente ad alterare le dinamiche istituzionali senza ritorno con la conseguenza del rischio di una complessiva delegittimazione permanente dei protagonisti in campo, oltre che generare una incrinatura dei labili rapporti, già, tra l’altro, sempre più incerti tra i poteri dello Stato.
Demandare ai cittadini la scelta di decidere su questioni tecniche, di mera ingegneria costituzionale, conferma ancora una volta l’inettitudine ed irresponsabilità del ceto politico italiano a svolgere la funzione a cui è preposta, il quale, pur tenendo conto dell’evoluzione del quadro costituzionale in materia di giustizia, avrebbe il dovere di proporre una sintesi, peraltro, del tutto possibile tra tutte le sensibilità concorrenti, invece di utilizzare il tema della riforma della separazione delle carriere, soltanto, come mezzo strumentale per far prevalere la propria fazione sulle altre partite in gioco. 
In tale quadro, a riprova di quanto detto, non vi è chi non vede l’assoluta strumentalità e, principalmente, confusione paradossale delle posizioni dei partiti (e di tutti quei soggetti correlati ad essi) perché l’ordinamento giudiziario di cui si vuole la modifica, sebbene con gli aggiornamenti post costituzionali apportati, resta sempre espressione diretta della produzione giuridica del fascismo, essendo stato approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (detto anche “decreto Grandi”, dal nome del Ministro della Giustizia dell'epoca) il cui impianto è rimasto parzialmente immutato. 
Quindi, la maggioranza del governo Meloni, ritenuta la nipotina di Benito Mussolini, vuole superare (o cancellare) un ordinamento fascista, mentre, viceversa la sinistra antifascista e democratica intende difendere una riforma del Duce.
Francamente in questa partita qualcosa non quadra! 

Diciamola tutta: la vera questione, come tutti gli operatori del diritto convengono (tranne qualche eccezione), dopo la  revisione dell’art. 111 della costituzione (Giusto processo) e la riforma Vassalli-Pisapia (Processo penale accusatorio), non è la separazione delle carriere, il cui naturale approdo sarà  inevitabile, bensì, al contrario, quella di garantire l’obbligatorietà dell’azione penale delle Procure in piena autonomia e indipendenza che pur non essendo oggetto di modifica della riforma Nordio, introduce elementi di ambiguità sull’evoluzione della figura del pubblico ministero.
Comunque vada, la partita non si concluderà con l’esito referendario, atteso che, se prevarrà la riforma Nordio, seguirà una ulteriore stagione di revisione costituzionale nella direzione della sottoposizione della magistratura requirente al potere esecutivo, mentre, se i referendari avranno la meglio, certamente, si darà vita ad un’opera di smantellamento del processo accusatorio, il vero nodo della giustizia italiana degli ultimi 35 anni, del tutto maldigerito dalla Magistratura Italiana.

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