Quando scompare un intellettuale, muore un pezzo di noi

Navanteri

Gli arbëreshë mi appartengono! Non quelli che dividono ma quelli che uniscono, costruiscono, piantano alberi e hanno visioni.

Uno di questi era Costantino Bellusci, un intellettuale colto che, nel mondo d'Arbëria, ha sempre avuto un atteggiamento di braccia aperte verso l'altro. Uno che ha amato il mondo sopra se stesso, con la grande visione di unire questa terra di diaspora attraverso un'opera monumentale intitolata “Arbashkuar” che ha visto la luce nel 2006 e, in 15 volumi, avrebbe dovuto raccogliere la storia della lingua arbëreshe.
La mattina di lunedì 10 novembre vengo a sapere che la sua condizione di salute è precipitata, raccolgo informazioni e scopro che si trova presso l'hospice di Cassano all'Ionio. Lo raggiungo in serata, non ho la possibilità di parlargli, riposa affannosamente. La sua famiglia lo circonda, come da sempre, mentre mi sento piccolo davanti a un gigante.
Conosco Costantino da tantissimi anni, abbiamo fatto molte cose insieme, condiviso serate culturali e anche momenti di convivialità leggera in diversi posti della provincia e anche nella sua amata Plataci. Sono stato il suo editore per la stampa del quarto volume della collana di dizionari e la ristampa del primo volume. Sempre per lui ho pubblicato due importantissime opere di un'altra collana molto importante intitolata: “Scienze Religiose, Filosofiche e Teologiche”. Un'opera di teologia filosofica complessa e articolata sui cinque sensi. Siamo riusciti a pubblicare due volumi, quello sugli occhi e quello sull'udito, e in questi Costantino aveva investito tanto per approfondire le sue conoscenze al fine di metterle a disposizione del mondo. Un intellettuale fine, dunque, che ha saputo fare delle sue passioni, la lingua, l'appartenenza arbëreshe e la religione, un laboratorio di formazione per la cultura del nostro tempo.
In quel letto a Cassano ho visto l'immagine di Cristo sulla croce. Non quella della sofferenza ma quella misericordiosa che apre le porte nonostante tutto. Sì, perché Costantino avrebbe meritato di più dai suoi amici, dall'ambiente lavorativo (era docente), dalla Chiesa (era diacono). Forse la sua diversità (era un diverso come me) ha creato una certa difficoltà a comprendere chi realmente fosse. Ma questo per lui non è stato mai un problema, anzi ne ha fatto un punto di forza che ha insegnato e continua ad insegnare come nella vita, anche da soli, si possano spostare le montagne. 
Martedì 11 novembre apprendo che Costantino non è più. Tiro un sospiro di sollievo per la fine delle sue sofferenze ma precipito irrimediabilmente nel baratro per la perdita di un caro Amico. La notizia ha attraversato l’Arbëria come una crepa improvvisa, per uno che ha sempre avuto un sorriso buono nei confronti degli altri, senza nulla a pretendere. Penso alla sera prima. Penso alla chiacchierata fatta con le sorelle e ripercorro lo spazio e il tempo che ho condiviso con Costantino. Così penso a quando si perde un amico... e capisco come Costantino non lascia un vuoto ma riempie una spazio che abbiamo finto di non vedere per anni. 
L’Arbëria si sta assottigliando, e ogni volta che scompare uno dei suoi custodi, la lingua si fa un po’ più silenziosa, la tradizione un po’ più sottile, la comunità un po’ più vulnerabile. Non perché manchino i ricordi, ma perché mancano gli eredi. Perché produrre sapere richiede disciplina, dedizione, anni di studio, e nessuna comunità sopravvive se affida il proprio futuro alla buona volontà di pochi.
Non c’è retorica qui, c’è un’urgenza. La scomparsa di Bellusci obbliga tutti, istituzioni comprese, a guardare in faccia la realtà. Una cultura minoritaria vive finché produce cultura. È viva finché genera memoria, scuole, modelli economici, lavoro. Finché offre ai giovani un motivo per restare o tornare. Finché non considera chi studia, scrive, crea, come un eccentrico isolato ma come un bene comune da difendere.
La domanda, ora, non è “chi prenderà il suo posto”, perché figure così non si sostituiscono. La domanda è se l’Arbëria saprà finalmente costruire le condizioni perché una generazione nuova possa nascere, crescere, parlare, scrivere e pensare in una lingua che non può restare appesa alla memoria dei singoli. La cultura non si eredita: si coltiva. E senza una comunità che se ne assume la responsabilità, anche l’opera più grande diventa reperto.
La morte di Costantino Bellusci non è solo la perdita di un intellettuale: è un monito. Ricorda a tutti che le lingue minoritarie non muoiono quando finiscono le parole, ma quando finisce il coraggio di pronunciarle. E a quel punto è troppo tardi per ricostruire ciò che non è stato difeso.

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Costantino Bellusci, uno degli ultimi custodi d'Arbëria

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