Sono stato un bullo! Anche io! Come tanti... e me ne vergogno! Facevo cose senza senso, oltre il limite della decenza, azioni che avrebbero potuto mettere in serio pericolo la vita degli altri. E non lo capivo! Sono stato un bullo ma ai miei tempi questa parola non esisteva.
Nella seconda metà degli anni Ottanta eravamo definiti solo “ragazzini vivaci”, che facevano ragazzate... Sì, come lanciare cose dalla finestra al primo piano della scuola, per lo più zaini dei compagni. Ma a volte anche qualche sedia o addirittura un banco! A distanza di anni, però, continuando a cercare le motivazioni di quelle follie, non trovo risposte. L'unica cosa che mi torna in mente, fra i ricordi sbiaditi, è l'eccitazione del “branco”. L'adrenalina per misurarsi con chi poteva essere “più di te”, solo per sentirsi accettati. La voglia dell'emulazione... Eppure, sono stato un debole. Uno di quelli che avrebbe dovuto subire le pene dell'inferno, come quelle che, invece, qualche volta, facevamo passare al malcapitato di turno (non violenza fisica, sia chiaro. Sfottò di ogni tipo...).
E invece, sono stato un bullo! E questo non mi ha mai gratificato. Anzi... Ogni volta mi svuotava dentro, fino a lasciarmi senza fiato. Sono stato un idiota, ma non lo capivo. Ed è proprio questo il problema, perché quando sei ragazzino fai un sacco di cazzate, e non bastano le raccomandazioni degli adulti, tu devi fare le tue “prove” perché non si impara dalle esperienze degli altri. Almeno non è questa la regola! È come dire a un bambino: “non toccare il fuoco che ti bruci”. Ma cosa significa “bruciare”? Ecco che scatta il desiderio di imparare “sulla propria pelle” toccando il fuoco.
Nonostante tutto, non avevamo bisogno di essere bulli per imparare che era sbagliato. Le nostre famiglie ci hanno insegnato da sempre ad essere educati, ad avere rispetto verso gli altri, soprattutto se più deboli! Ma le regole, si sa, sono fatte per essere infrante! E noi, ragazzini, poco più che bambini, le infrangevamo tutte. Perché come i bambini, eravamo cattivi! Per fortuna, però, ai miei tempi nessuno pagava con la propria vita.
Oggi, invece, il bullismo è diventato una piaga più profonda. Di bullismo si muore e siamo tutti responsabili! Non bastano le regole scritte, non bastano i divieti: serve la presenza. È necessario sì uno sguardo che accoglie ma, soprattutto, la capacità di dire “no” quando serve. Il rapporto fra genitori e figli non può essere di amicizia. Il filosofo Umberto Galimberti lo grida a gran voce, spiegando che i genitori devono rappresentare l'autorità. E l'autorità non la si impone ma deve darla il figlio, perché ha visto nel genitore un esempio credibile. Solo allora si può esercitare questa autorità, anche se scomoda.
Io sono stato un bullo, ma sono cresciuto cambiando strada. Questo anche grazie al fatto che non ho avuto genitori per amici ma persone autorevoli verso cui guardare.
E allora, cari genitori, non abbiate paura di educare i figli al “rapporto verticale”. Non cedete alla tentazione di essere “amici” perché è più facile, perché gli “amici” non devono correggere, non devono imporsi. Siate piuttosto guide forti, cuori grandi che non annullano il proprio ruolo educativo. Fategli capire che l’essere con lui non significa diventare il suo confidente amichevole, ma il suo punto fermo nel mare agitato della vita.
Perché solo così, da quell’esperienza di cui ognuno dovrebbe vergognarsi, può nascere una lezione autentica: non essere il bullo, non essere la vittima, ma essere genitore. Un genitore che non cede al facile “piacere”, ma costruisce il rispetto. Quello che rimane quando tutto il resto svanisce. Perché per ogni ragazzo che paga il prezzo altissimo della propria vita per un atto di bullismo, c'è una società dietro che ha fallito irrimediabilmente!
Il bullismo non si vince con slogan o campagne, ma con famiglie che si assumono la responsabilità di educare alla vita. E allora sì, sarà possibile crescere generazioni che non hanno bisogno di ferire per sentirsi forti, ma che sanno riconoscere nell’altro la bellezza di un compagno di viaggio.
Troviamo il coraggio di chiedere scusa...