Poco più di un secolo fa, nel 1922, nacque in Inghilterra la BBC, prima stazione radiofonica al mondo, che inaugurò l’esperienza comunicativa via etere sviluppatasi in seguito al brillante esperimento dell’italiano Guglielmo Marconi che, pochi anni prima, nel 1901, aveva realizzato con successo un collegamento radiotelegrafico transoceanico.
Ebbe pertanto inizio la storia della radio, strumento potente e affascinante che continua ad accompagnare le nostre giornate, sopravvivendo con indiscussa dignità dinanzi all’inarrestabile avanzata dei più celeri mezzi di comunicazione digitale.
Quando si parla di radio occorre tuttavia ragionare secondo una duplice prospettiva: quella degli ascoltatori e quella, altrettanto importante, degli artefici delle trasmissioni. Il libro di Gennaro De Cicco coglie con successo entrambi gli aspetti e condensa, attraverso le vicende di una piccola radio locale, le peculiarità della comunicazione radiofonica.
La prima immagine che il lettore affronta è quella della realtà paesana di San Demetrio Corone sul finire degli anni Settanta del Novecento. Le botteghe artigiane, l’edicola, il salone del barbiere e i luoghi di pubblico ritrovo del borgo arbëresh sono allietati da un sottofondo di musica che promana da antiquati apparecchi a transistor.
Tutto ciò rasserena gli ambienti di lavoro e traduce in concretezza le osservazioni sui media del grande sociologo canadese Marshall McLuhan (1911-1980).
Questi, partendo dagli studi del suo conterraneo Harold Innis (1894-1952), elaborò un’interessante teoria secondo cui le tecnologie della comunicazione sono in grado di incidere profondamente sulla strutturazione dell’organizzazione sociale e psicologica degli uomini.
I media, concepiti dunque come estensione dei sensi, vengono distinti in due categorie: media caldi, tra cui la radio e la fotografia, che richiedono un basso livello di partecipazione da parte del fruitore ‒ motivo per cui la trasmissione radiofonica può semplicemente fare da sottofondo ad altre occupazioni ‒ e media freddi, tra i quali vanno annoverati la televisione e il telefono, che inducono l’individuo ad un completo coinvolgimento dei sensi per captare ed elaborare in toto le informazioni veicolate.
L’idea di uno strumento utile ed economico in termini di attenzione per l’ascoltatore consente di spiegare almeno in parte il successo e la capillare propagazione del mezzo radiofonico.
È tuttavia necessario comprendere anche e soprattutto le ragioni di chi la radio la vive in qualità di protagonista ed in ciò il volume di Gennaro De Cicco fornisce interessanti spunti di riflessione.
Al centro della trattazione è posta l’avventura di Radio Libera Skanderbeg, attiva sulla frequenza 103,800 Mhz tra il 1977 e il 1984.
Tale esperienza radiofonica nacque dallo spirito gioioso e giocoso di un gruppo di amici che accolsero l’illuminante impulso dell’avvocato Giuseppe D’Amico e di papàs Giuseppe Faraco, sacerdote di altissimo spessore culturale e fondatore della celebre rivista italoalbanese Zjarri.
Pochi mesi prima, esattamente nel luglio 1976, la Corte Costituzionale aveva sancito la legittimità delle radio libere, ponendo di fatto fine al monopolio di Stato sulle trasmissioni radiofoniche e sdoganando le fresche e fantasiose energie di chi ne aveva intuito appieno le enormi potenzialità comunicative.
Fu così che in un modesto edificio di Via della Redenzione ebbe inizio il processo di graduale consolidamento di una realtà radiofonica che ebbe l’indubbio merito di documentare e valorizzare la cultura d’Arbëria in un periodo storico cruciale in cui erano ancora in vita i vecchi testimoni della generazione che, cresciuta tra i sacrifici e il duro lavoro della terra, aveva custodito gelosamente le tradizioni avite e si apprestava a tramandarle a coloro i quali avevano avuto la fortuna di ricevere adeguata istruzione e il privilegio di accedere alla formazione accademica presso la neonata Università della Calabria.
Il «curioso giocattolo», che effondeva gradevoli armonie tra le vie sandemetresi, riuscì, per maturità dei suoi ideatori, anche ad eludere la tentazione di uno sterile passatismo fine a se stesso, conciliando in maniera egregia la conservazione di antichi sprazzi di cultura arbëreshe con l’apertura verso tematiche moderne e forme espressive e musicali in voga in quel determinato periodo.
Ne è testimonianza l’analisi dei vivaci palinsesti che scandivano le trasmissioni quotidiane. Ai momenti riservati alla diffusione di canti, proverbi, filastrocche, poesie e fiabe del venerabile patrimonio immateriale d’Arbëria seguivano spazi riservati all’informazione, alla satira, alla cronaca sportiva legata ai successi calcistici della Sandemetrese e alla riflessione di matrice religiosa.
La stessa musica, anima di ogni radio, si diversificava al fine di soddisfare le esigenze di ascoltatori dai gusti variegati: i vjershe della tradizione erano accostati ai successi della musica leggera, alle movimentate note del genere country, alle fantasiose improvvisazioni del jazz e addirittura alle raffinate e colte sonate classiche.
Tale pluralismo evidenzia con notevole chiarezza la lungimiranza dei protagonisti di quell’avventura e fa emergere il senso di costante confronto ‒ giustamente rilevato da Francesco Perri nella prefazione al presente volume ‒ che accompagnò l’intero percorso radiofonico sandemetrese.
Tutto ciò consente di attribuire un merito ancora maggiore a coloro che si alternarono nelle sale di trasmissione e seppero gestire in maniera professionale il «curioso giocattolo», pur provenendo da contesti lavorativi ed esistenziali profondamente diversi e distanti dall’universo della comunicazione.
Essi ebbero la capacità di affrontare i timori della diretta vincendo quel senso di momentaneo smarrimento contro cui ogni speaker è chiamato a confrontarsi sin dalle prime battute. Si tratta ovviamente di un passo decisivo per chi intende cimentarsi con il mondo della radio e lo stesso Riccardo Cucchi, celebre voce di punta della famosa trasmissione radiofonica sportiva Tutto il calcio minuto per minuto, descrive questa sorta di battesimo del fuoco in una mirabile sintesi: «Al microfono sei solo. Tu e quello che succede davanti ai tuoi occhi. E devi afferrare le parole, adattarle a ciò che vedi, riprodurre immagini per chi ti sta ascoltando e vive le tue emozioni, le fa proprie».
Radio Libera Skanderbeg si inserì a pieno titolo in quel clima di fermento indirizzato verso la riscoperta della cultura d’Arbëria e d’Albania. Fu così che l’emittente sandemetrese promosse serate di ballo, mostre di pittura, convegni, presentazioni di libri, tornei di giochi popolari e, soprattutto, diede vita alla prima Settimana di cultura albanese (1977) cui parteciparono affermati artisti ed eminenti studiosi dell’Ansambli della Repubblica Popolare Socialista d’Albania (RPSSH).
Nel 1984, si verificarono due avvenimenti importanti nell’agitato contesto culturale d’Arbëria: a Vaccarizzo Albanese si tenne la prima Sagra del Costume Arbëresh su iniziativa del già citato papàs Faraco e dell’allora sindaco Francesco Perri; a San Demetrio Corone cessò definitivamente l’esperienza di Radio Libera Skanderbeg.
Pochi, in fin dei conti, furono gli anni di attività dell’emittente, ma incisivo fu il messaggio lasciato ai posteri che può essere sintetizzato nella capacità di valorizzare l’aspetto identitario ricorrendo alle moderne tecnologie ed evitando di incappare nell’antistorica idealizzazione utopica del passato che il sociologo polacco Zygmunt Bauman (1925-2017) definì con il termine di retrotopia.
A Gennaro De Cicco va il plauso per aver condiviso il ricordo di un frammento di storia personale e comunitaria con la consapevolezza che son le microstorie di provincia a veicolare nel futuro principi etici validi, nonostante il trascorrere inesorabile del tempo.
Nel 1980, dal gruppo di Radio Libera Skanderbeg e dall’intraprendenza dell’avvocato Giuseppe D’Amico nacque l’idea di un Festival della Canzone Arbëreshe che tuttora allieta le serate dell’estate sandemetrese. I canti continuano ad essere intonati, le note risuonano tra le vie del borgo e la lingua dei padri trova nella musica nuovo e vitale alimento.
«La vita che si disperde in me / si ritroverà in te / per lungo tempo / e nel mio popolo, per sempre» scriveva in giorni andati il poeta turco Nazim Hikmet (1902-1963). Radio Skanderbeg ha chiuso i battenti, ma la sua eredità continua ad esistere seminando in noi un salvifico dubbio: forse, lo spirito di quella piccola ma appassionante radio di quartiere non si è mai realmente sopito.
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