Si racconta che in tempi lontanissimi, nei pressi del lago Pergusa, modesto specchio d’acqua nelle vicinanze di Enna, la terra si aprì permettendo a Plutone, oscuro re degli inferi, di rapire la bella Proserpina per condurla nel suo tenebroso regno e farla sposa e regina.


Per un’orrenda coincidenza, frutto del brusco e inevitabile passaggio dal mito alla storia, anche agli inizi degli anni Ottanta del Novecento la terra ebbe modo di aprirsi ‒ questa volta nella vicina Calabria ‒ per accogliere presumibilmente ‒ e qui l’avverbio dubitativo è d’obbligo ‒ un corpo mai rinvenuto, quello di Rossella Casini, studentessa fiorentina vittima di ‘ndrangheta e d’amore.
La vicenda della sventurata ragazza è narrata nel nuovo romanzo di Roberto Saviano, il cui titolo, L’amore mio non muore, tenta di racchiudere l’invincibile forza eternatrice che promana dal più decantato e misterioso sentimento umano, in grado di sopravvivere persino all’oblio del sepolcro e alla ferocia della violenza.
Nell’Italia del 1977, attraversata dalle contestazioni politiche di piazza, strascico di una rivoluzione del pensiero iniziata circa un decennio prima e frantumatasi in inconcludenti rivoli di parole e teorie, Rossella, iscritta presso la facoltà di pedagogia della sua città, conosce per caso Francesco Frisina, studente di economia a Siena originario di Palmi, centro agricolo e marinaro della Piana di Gioia Tauro. L’incontro è del tutto inatteso e si verifica nel momento in cui il fuorisede calabrese prende alloggio in un appartamento al piano inferiore rispetto a quello dei Casini. Nulla può far presagire che una circostanza così ordinaria porterà nella pacifica esistenza della giovane la guerra, che, come evidenziato da Saviano, «se la invochi, ti ascolta pure, solo che poi fa ciò che vuole. Ti entra in casa, ma quello non è niente. Il peggio è quando ti entra nel cuore e te lo spacca in due, ti fa sanguinare gli occhi, ti fa sputare il poco di bene che un attimo prima ti aveva consegnato».
L’inesperienza e l’inspiegabile gioco di attrazioni donano ben presto indissolubilità a questo acerbo legame romantico, racchiudendo in una bolla di utopie e di buoni propositi l’ingenua studentessa e il suo enigmatico innamorato. Tuttavia, la realtà cinica e beffarda squarcia il sipario con la violenza di un lampo nella notte e mostra i tratti crudi di un concetto degenerato di famiglia di cui Frisina è espressione. Egli è affiliato infatti ad un clan malavitoso ‒ quello dei Gallico ‒ che ha consentito a suo padre, don Mico, di mutare il proprio status sociale di contadino in quello di possidente imborghesito, rispettato e temuto.
Quando gli interessi economici e di influenza sul territorio si espandono e confliggono con quelli dei Condello, altra potente compagine ‘ndranghetista, i Gallico scendono in guerra e, a suon di ferimenti, imboscate, faide e morti, cercano di imporsi sui rivali affidando le loro ragioni ‒ si fa per dire ‒ al piombo delle lupare.
Rossella, scendendo in Calabria al seguito del suo innamorato, intuisce la situazione ‒ benché la propria personalità appaia completamente annullata o, comunque, fortemente ridimensionata all’interno di quella passione magnetica e tossica al tempo stesso ‒, ma spera che il vigore del sentimento possa essere salvifico e tenere lontano dai guai e dalle vendette il rampollo dei Frisina diventato, nel frattempo, sempre più accorto nei movimenti e prudente nel tentare di minimizzare gli inequivocabili segnali della tempesta che sta per addensarsi sul proprio capo. Soltanto dopo l’uccisione del vecchio don Mico, egli prenderà le redini della famiglia, iniziando ad attuare quel comportamento malavitoso al quale sembra geneticamente predestinato.
Un ferimento, un arresto e una confessione alle autorità giudiziarie ‒ prontamente ritrattata e frutto della fragilità della convalescenza e della pressione della spaventata Rossella ‒ non basteranno a redimergli l’anima ma, al contrario, eserciteranno su di lui un effetto diabolico che si concretizzerà con l’avallo all’idea di neutralizzare proprio la sua innamorata divenuta ormai custode di troppi segreti e potenziale fonte di scottanti rivelazioni.
Rossella sparisce nella notte del 22 febbraio 1981, recando con sé l’illusione di un amore per il quale avrebbe sacrificato tutto, persino la vita. Con il suo atteggiamento ha mostrato determinazione, coraggio, ostinata propensione a credere nel riscatto umano, ma ciò non è valso a impedirle di cadere dinanzi alle trame di Cettina, sua cognata, divenuta reggente della famiglia alla morte del vecchio capoclan e a seguito della carcerazione di suo fratello, naturale erede al posto di comando.
Appena giunta in Calabria, la giovane protagonista rimane incantata dalla straordinaria bellezza della Costa viola e dai colori del cielo e del mare nei pressi della Tonnara, «frutto di un gioco complicato e piuttosto fortunoso fra il monte Sant’Elia, i riflessi della luce e alcuni composti sulfurei provenienti dal vulcano Stromboli». Tuffatasi tra le onde, pare agli occhi del suo innamorato un elemento essenziale di quelle cromie e dell’orizzonte sconfinato che si dilata davanti a loro. 
Mesi dopo quella fusione col paesaggio che rasenta il panismo, secondo una ricostruzione poetica che non è comunque lontana dalla verità giudiziaria, ella «viene gettata in mare proprio lì dove c’è il suo scoglio, quello dell’Ulivo. Sulla sua tomba non spunteranno fiori, perché lei è già fiorita quel giorno, si è già mostrata a una natura invidiosa che adesso, maligna, ne accetta le spoglie soltanto per brama, cullandone il sonno». 
Non ci resta un cadavere, ma un esempio ed è questo che Saviano ci invita a seguire coltivandone la memoria. «Sventurato il paese che ha bisogno di eroi» (Bertolt Brecht).

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