Navanteri

Fino alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, la minoranza delle persone che se lo poteva permettere, si cibava con regolarità e a sufficienza. Il suo stile di vita complessivo era comunque improntato ad un sostanziale equilibrio fra le calorie ingerite ed il loro consumo nel corso delle ventiquattro ore.

Le persone in sovrappeso o addirittura obese, bambini compresi, erano una rarità da ascrivere più che altro a disfunzioni del metabolismo alimentare, indipendente dalla quantità e qualità del cibo assunto.
Il boom economico, per quanto avviato sulla “buona strada” (grazie anche al piano Marshall e ad una classe politica di tutto rispetto), era di là da venire e a colazione, (la merenda non esisteva) si consumavano prodotti fatti in casa. Il latte lo dava in massima parte la capretta che, assieme ai polli che scorrazzavano in libertà, forniva anche la carne delle feste comandate. Il pane raffermo proveniva in massima parte, dal forno che ogni famiglia si costruiva a ridosso della propria abitazione. Una dimora quasi sempre singola a piano terra, senza servitù condominiali, che dava sulla strada o sulla piazzetta ove si affacciavano le abitazioni limitrofe che costituivano il “vicinato” (gjtonìa), un autentico spazio comune indiviso nel quale si consumavano, al di la di ogni privacy, gli eventi tristi e lieti delle famiglie che traevano forza proprio dalla dimensione comunitaria allargata.
Poi tutto questo finì. Il miracolo economico degli anni ’60 spazzò via un sistema economico, sociale, culturale forse arretrato ma certamente padroneggiato, a tutto vantaggio di una modernità mai più completamente metabolizzata ma più semplicemente, almeno nei suoi aspetti appariscenti che sono anche quelli più deteriori, subita e comunque vissuta a livello epidermico. Nel giro di qualche decennio la società italiana, come del resto tutta l’economia occidentale, assaporò concetti nuovi come il tempo libero, le ferie, la cassa mutua, il servizio sanitario, etc. In campo alimentare i prodotti preconfezionati fortemente energetici, garanti di igiene, qualità, praticità, si diffusero a macchia d’olio, indice anche di uno status economico fortemente migliorato. Fu così che le merendine ipercaloriche, gioia e delizia del palato, conquistarono in primis i bambini.
Naturalmente il rovescio della medaglia non tardò molto a farsi sentire. L’iper alimentazione, abbinata ad altre abitudini errate legate ad una vita sempre più sedentaria, non più vissuta all’aria aperta, ma trascorsa da seduti davanti a marchingegni elettronici sempre più appassionanti, ha prodotto effetti devastanti non solo nei più giovani, ma anche negli adulti.
Obesità e ipertensione, strettamente fra loro collegate, sono rappresentative dei mali della società attuale, passata dallo stato di povertà a quello di ostentata ricchezza. Porvi rimedio diventa sempre più pressante se si vogliono evitare conseguenze ancor più dannose per lo stato generale di salute dei bambini prima e degli adulti dopo.
Il bambino obeso è portato a condurre una vita pressoché sedentaria. Trascorre la giornata davanti al televisore o al computer, non pratica alcuna attività sportiva e ha cattive abitudini alimentari caratterizzate da pasti fuori orario a base di cibi fritti e salati oppure di dolciumi e cioccolate varie. Il problema è ancora più grave se si considera che i genitori, anch’essi molto spesso in sovrappeso, non si rendono conto della gravità della situazione, considerato che, generalmente, si preoccupano quando il proprio figlio mangia poco, ma non certamente quando mangia troppo. Questo atteggiamento è certamente un lascito della pessima qualità di vita che si conduceva prima, durante e subito dopo il secondo conflitto mondiale.
Il fenomeno del sovrappeso corporeo – talvolta siamo già all’obesità – in forte aumento in tutta l’area occidentale, coinvolge i bambini fra i sei e gli undici anni, destando forte preoccupazione nell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), che ha lanciato il suo allarme definendo l’obesità una vera e propria “epidemia globale” e invitando i governi ad agire mediante apposite campagne di prevenzione. Nel nostro Paese il sovrappeso in età infantile raggiunge livelli da record attestandosi nella non invidiabile posizione di un bambino su tre, toccando addirittura il 49% in Campania.
La stessa Fimp (Federazione italiana medici pediatri), ha coinvolto ben 400 pediatri in tutto il territorio nazionale per tenere sotto controllo i bimbi da zero a tre anni, il periodo considerato più fertile per l’acquisizione delle abitudini alimentari, che se si riveleranno sbagliate, come nel caso dell’abnorme crescita del peso corporeo, condizioneranno la vita futura dell’adulto causando, come già accennato, la comparsa di malattie cardiovascolari e diabete, oltre a problemi di carattere ortopedico, muscolare, delle articolazioni e non ultimi, problemi di carattere psicologico.
Ma come spesso succede, il problema si riverserà tutto sulle spalle della scuola e sulla sensibilità dei docenti. Saranno loro con progetti mirati a dover raddrizzare l’ago della bilancia alimentare, consapevoli del fatto che, più che allarmare gli incolpevoli bambini, dovranno convincere i rispettivi genitori che già si ingozzano di pillole contro l’ipertensione. Segno evidente, questo, di una infanzia trascorsa alla mercé di genitori sopravvissuti agli stenti e alle privazioni di una guerra che li vide sopravvissuti talvolta anche grazie alle riserve alimentari di cui avevano dotato il loro corpo. Ma questa è un’altra storia.

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