Navanteri

L’etimo della parola “dialogo” come facilmente riscontrabile in qualsiasi vocabolario, sia cartaceo che on line, (per chi gia non ne fosse edotto in virtù dei suoi studi classici), deriva dal greco logos che significa “parola”, “verbo” e dalla disgiunzione dia, che significa “separazione”.
Da questo binomio trae origine quel concetto di dialogo nella filosofia greca visto come forma di elaborazione intellettuale in cui due o più interlocutori interagiscono mettendo in discussione il proprio sapere su cui fondano la rispettiva filosofia di vita.


E’ scontato che per instaurare un dialogo, che è poi l’esatto contrario del monologo, necessita che tutti gli interlocutori che vi partecipano, mettano in gioco le proprie idee mediante il ricorso al ragionamento, alla buona volontà, alla pazienza, nella consapevolezza di non avere gia in tasca la verità rivelata, ma solo un brandello che per assumere valore universale, necessita di altri brandelli di verità condivisa che ognuno mette a disposizione.
Questa forma di costruzione dal basso della verità, sempre perfettibile, è l’esatto contrario della verità di fede che accompagna ogni credo religioso, per sua natura fondato su assiomi indimostrabili, ma accettati aprioristicamente come verità rivelate e, pertanto, immodificabili. E’ chiaro che una verità rivelata che non ha bisogno di alcun riscontro oggettivo, impedisce di per se, qualsiasi forma di dialogo.
Calando nella realtà quotidiana e, quindi nella organizzazione sociale, civile, politica, morale, culturale e quant’altro, dettami di carattere religioso, significa, semplicemente, avere un’organizzazione e una concezione dello Stato di tipo teocratico. Viceversa, relegare le credenze e le regole di carattere religioso alla sola sfera personale, significa avere un’organizzazione statale fondata su principi di uguaglianza (leggi “democrazia”), che prescindono dai valori religiosi dei singoli appartenenti.
La teocrazia (ovvero forma di governo in cui il potere politico, ritenuto direttamente emanato da Dio, è nelle mani di uomini investiti dell'autorità religiosa, con la conseguente identificazione tra potere politico e religioso), si distanzia nettamente dalla democrazia, variamente definita nei suoi molteplici aspetti nel corso della storia e caratterizzata, relativamente all’aspetto in questione, da una assoluta separazione dei dettami religiosi da quelli civili (“libera Chiesa in libero Stato”).
Se sono veritieri, come in realtà lo sono, entrambi questi concetti di governo teocratico e democratico, appare evidente in tutta la sua drammaticità, l’impossibilità assoluta di una sia pur minima intesa sul sistema di vita che caratterizza i popoli e le Nazioni che sulla teocrazia e sulla democrazia fondano la rispettiva legislazione.
Superata la teocrazia papale in ambito cattolico, almeno dal punto di vista del principio in sé, permane, perfettamente integra, la teocrazia in ambito musulmano. E’ un bel dire che lo scontro fra società di tipo capitalistico occidentale e società di tipo islamico non ha nulla a che vedere con l’aspetto fondante che sta alla base dei due sistemi di vita, cioè del ruolo e del significato da dare alla religione.
Se così fosse, da tempo si sarebbe trovato un modus vivendi fra le due culture, oppure l’una avrebbe ceduto il passo all’altra (Un caso analogo è sostanzialmente accaduto fra capitalismo e comunismo, quantunque nessuna delle due visioni della vita e dell’economia si possa dichiarare definitivamente superata). Invece, più gli anni e i secoli passano e più lo scontro (iniziatosi sin dalla fondazione del nuovo credo da parte di Maometto), si fa duro e globale.
I quattordici secoli circa di esistenza dell’islamismo sono stati caratterizzati da atroci scontri armati col mondo cristiano che fino al recente passato, in quanto ad integralismo non aveva nulla da invidiare alla controparte. Nessuno dei due blocchi è riuscito a chiudere definitivamente la partita. Questo almeno fino a quando anche i cristiani traevano la propria forza, oltre che dagli armamenti, anche e principalmente dalla stessa forza interiore, ovverosia la fede incrollabile nel proprio credo religioso.
Oggi la partita è definitivamente cambiata e mentre una parte continua a combattere a difesa della propria Fede, l’altra, quantunque ben equipaggiata dal punto vista degli armamenti, ha da tempo relegato nel dimenticatoio i motivi di fondo dello scontro e combatte con sempre meno entusiasmo una guerra che gli pare estranea. Una guerra che non muove più enormi eserciti in aperti campi di battaglia, al comando di grandi generali che studiano a tavolino minuziosi piani di attacco, ma che si risolve in pochi istanti con la morte di un kamikaze a cui si aprono le porte del Paradiso per aver eliminato una inerme e ignara folla (bambini compresi), che nemmeno sapeva di trovarsi in quel momento in prima linea in un improvvisato teatro di guerra.
Farà prima la democrazia a conquistare con le armi della ragione quella cultura integralista come già fece con l’integralismo cristiano o farà prima l’integralismo islamico ad imporre il proprio burka ad una società gaudente che si accorgerà di tutto ciò solo “a cose fatte”?
Un dato è certo: lo scontro continuerà a lungo e, sebbene caratterizzato come in passato da fasi più o meno acute, sarà sempre più duro, visto che, come evidenziato all’inizio di questa riflessione, una delle due parti si richiama direttamente ai valori religiosi che di per se non ammettono sconti, rendendo quindi impossibile qualsiasi forma di dialogo.
Questo status plurisecolare di scontro fra queste due culture si presta ad una miriade di riflessioni e di letture, spesso diametralmente opposte. Ci sarà, quindi, modo di riprendere l’argomento nel corso del tempo, con la speranza di incontrare l’interesse dei lettori.

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