La notizia risale a qualche tempo fa, ma coi tempi di reazione propri della Chiesa, essa conserva tutta la sua importanza e attualità in quanto potrebbe veramente riportare i rapporti fra Chiesa d’Oriente e d’Occidente a quella unità perduta nel 1054 con uno scisma fondato sull’inserimento del termine “filioque” nel Credo niceno che, se è di estrema importanza a livello dottrinale trinitario, esso resta pressoché incomprensibile alla massa dei fedeli che dello scisma hanno percepito solo la lotta per la supremazia del Vescovo di Roma su quello di Costantinopoli e viceversa.
I vari tentativi di riunificare le diverse anime all’interno della Chiesa universale si rivelarono sempre pie intenzioni, ivi compreso il più importante in tempi moderni, risalente al Concilio di Basilea del 1459, accordo subito rigettato dalla Chiesa ortodossa, che accusò i capi spirituali che vi avevano preso parte, di aver oltrepassato la propria autorità nel consentire la riunificazione. Anche gli ulteriori tentativi di riconciliazione fallirono, ma molte comunità ecclesiastiche originariamente ortodosse cambiarono giurisdizione ed ora sono denominate Chiese cattoliche di rito orientale.
Il dato di fatto è che tuttora la Chiesa occidentale e la Chiesa orientale sono separate, e ognuna si autodefinisce Chiesa una, santa, cattolica (ortodossa) ed apostolica, avvalorando la tesi che, con lo Scisma è l'altra parte ad avere lasciato la vera Chiesa.
Oggi Zizioulas, Metropolita di Costantinopoli, riconosce in certo qual modo il primato di Roma, riavviando così il dialogo fra le due Chiese.
«Il Papa di Roma è il primo Patriarca». Questa la storica affermazione contenuta su di un documento congiunto della Chiesa cattolica e delle Chiese ortodosse che fissa in maniera inequivocabile il primato del romano pontefice, spianando la strada alla riunificazione. Il documento è il frutto di un vertice tenutosi a Ravenna, dove una delegazione cattolica guidata dal cardinale Kasper e una delegazione pan-ortodossa guidata dal metropolita Zizioulas del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, hanno gettato le basi per un approfondimento delle questioni da risolvere per ristabilire l’unità. Riconosciuto questo primato, resta da definire il ruolo del vescovo di Roma nell’ambito della comunità ecclesiale.
Le parti riconoscono che “l’Unica e Santa Chiesa si realizza contemporaneamente in ogni Chiesa locale che celebra l’eucaristia e nella comunione di tutte le Chiese”. C’è accordo anche sulle strutture della Chiesa universale. A livello locale l’autorità è il Vescovo. A livello regionale un gruppo di Chiese riconosce al proprio interno un “primo” (protos). Più articolata la questione del livello globale.
In merito il documento afferma che sul piano universale “coloro che sono i primi nelle differenti regioni, insieme a tutti i vescovi, cooperano in ciò che riguarda la totalità della Chiesa”. E in questo contesto si sottolinea che “i primi devono riconoscere chi è il primo tra di loro”. Ma per assicurare la concordia serve la conciliarità: cioè la cooperazione comune tra tutti. «Tutti i vescovi dell’orbe cristiano - è detto - non devono essere solamente uniti tra di loro nella fede, ma hanno anche in comune la stessa responsabilità e lo stesso servizio nei confronti della Chiesa». Insomma, gli ortodossi mettono in chiaro che il vescovo di Roma non può pretendere di essere un sovrano assoluto che decide in solitudine, tesi già sostenuta dallo stesso Ratzinger. Il pontefice, peraltro, è sempre nominato nel testo come vescovo di Roma o come uno dei cinque patriarchi storici.
Benedetto XVI ha manifestato fin dalla sua elezione la volontà di fare passi concreti in direzione dell’avvicinamento fra le Chiese cristiane. Ma ci sono anche difficoltà in campo ortodosso. Il patriarca Alessio di Mosca è restìo nel riconoscere il primato del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I e al tempo stesso non perdona al Vaticano il proselitismo delle diocesi cattoliche nell’ex Urss. A Ravenna i suoi rappresentanti hanno abbandonato la riunione perché la Chiesa ortodossa di Estonia si era aggregata al patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
Un dato sembra certo: dopo un millennio circa (a tutt’oggi 957 anni), il miracolo della riunificazione, almeno con una parte della diaspora, più volte inutilmente tentata nei secoli passati, potrebbe compiersi. Se ciò dovesse accadere, è probabile che quelle comunità arbëreshe come Spezzano Albanese, che nel passato dovettero rinunziare “obtorto collo” al rito bizantino, avrebbero qualche motivo in più per reclamare il ritorno alla religione dei padri.

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