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Il fattore “stabilità politica”, tanto enfatizzato dagli estimatori di un sistema istituzionale forte, non è di per sé sufficiente e/o automatico a generare ricchezza nel paese.

Senza una reale e significativa crescita, la situazione economica-finanziaria italiana, le cui previsioni di rallentamento del Pil si attestano intorno allo 0,5% per l’anno 2025, nonostante un miglioramento dei conti pubblici, resta complicata.
Ancora gli investimenti del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) terranno un po’ a galla la crescita del Paese, il quale, secondo le proiezioni, si piazzerà saldamente ultima, o quasi, in Europa con un’economia stagnante, lavori poveri e un Welfare a pezzi. 
Il Pnrr, di fatto (per come sostengono autorevoli economisti), non ha avviato, se non in minima parte, efficaci processi di modernizzazione del Paese, indispensabili, del resto, per rimettere in moto il sistema produttivo italiano, caratterizzato (da anni) da una bassa produttività, freno strutturale del Bel Paese che limita la capacità di trasformare investimenti e incentivi in crescita duratura.
Senza un cambio di marcia sul fronte delle riforme, il rischio è di restare intrappolati in una combinazione di crescita lenta e debito elevato che minaccia il sistema di tutele collettive, oggetto di un processo allarmante di riduzione progressiva.
Per cui per il Bel Paese l’imperativo categorico è quello di crescere. 
Non esistono alternative sul campo! 
Resta da riflettere, tuttavia, sui settori strategici cui puntare, tenendo presente il mutamento del contesto geo-politico-economico mondiale, il quale ha ristretto di molto le opportunità di penetrazione commerciale (vedi dazi di Trump).
In primo luogo, certamente occorre rafforzare i settori tradizionali trainanti da sempre l'economia esportatrice italiana, mentre, dall'altra parte, sfruttare a pieno le risorse peculiari della penisola, attraverso la valorizzazione, la salvaguardia e la promozione del nostro patrimonio culturale storico-artistico, tema del tutto sottovalutato nei fatti, sebbene ricorrente nel dibattito pubblico.
Sarebbe opportuno passare dalle parole ai fatti ovvero “scommettere realmente sulla cultura” che pare un investimento sicuro. In effetti, negli ultimi anni sembrano sempre più chiari e netti i nessi stretti (innovazione tecnologica, innalzamento livello d'istruzione, crescita reddito, globalizzazione) che legano l'economia nelle società industriali avanzate e la cultura.
Quest'ultima, intesa come complesso articolato di beni materiali e immateriali deve considerarsi, ormai, un’industria che sta assumendo un peso crescente nelle economie contemporanee, tant'è che è stato calcolato che nel 2023 il “sistema produttivo culturale e creativo” è stato capace di generare 104,3 miliardi di euro di valore aggiunto, con un incremento del +5,5% rispetto all’anno precedente, ovvero circa il 6% del PIL e occupato circa 1,5 milioni di persone. 
Il peso della cultura e della creatività in Italia va ben oltre il valore aggiunto diretto generato dalle attività del settore. Le attività culturali, infatti, hanno un effetto moltiplicatore significativo sull'economia e stimolano la crescita in settori economici diversi ma correlati. Per ogni euro di valore aggiunto generato dalle attività culturali e creative, si attivano altri 1,8 euro in altri settori.
Un esempio evidente è dato dalla stretta interazione esistente fra valorizzazione del nostro patrimonio artistico e culturale e turismo. L'intera filiera culturale arriva così a produrre circa 250 miliardi, pari al 16,7% del nostro PIL nazionale.
Perciò, “un'industria integrata della cultura e creatività” determinerà un contributo quantitativo al benessere sociale, oltre che orientare la società verso nuovi modelli organizzativi e modi di fruizione delle risorse, perché un’economia sempre più costruita sulle conoscenze, la cultura costituisce una risorsa collettiva che contribuisce ad alimentare la creatività, a stimolare l’innovazione e ad accrescere la qualità del capitale umano, comportando in tal modo un rafforzamento del “sistema paese”.
Per queste ragioni l'Italia, che vanta un passato creativo e culturale prestigioso unico al Mondo, dovrebbe con maggiore incisività sostenere e valorizzare “l'industria della Cultura e Creatività”, atteso che, contrariamente a quanto sostiene un vecchio detto italico, invece, con la “cultura si mangia” e pure bene.

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