Dopo l’annuncio di Emmanuel Macron e di Keir Starmer, anche altri Stati (Canada, Australia, Portogallo, Malta, Finlandia, Nuova Zelanda ed altri) stanno valutando la possibilità di formalizzare il riconoscimento dello Stato di Palestina in occasione dell’Assemblea generale dell’Onu che si svolgerà a settembre.
Su 192 Stati membri dell’Onu già 143 hanno riconosciuto lo Stato di Palestina, rifacendosi a quell’entità politico-territoriale disegnata negli accordi di Oslo del 1993, siglati tra Rabin ed Arafat che richiamavano la risoluzione dell’Onu del 1948.
Il riconoscimento dello Stato di Palestina rappresenterebbe, in questo momento, un gesto diplomatico per esprimere la propria contrarietà a quello che sta avvenendo a Gaza, oltre che esercitare una forma di pressione politica su Israele al fine di raggiungere un cessate il fuoco.
Sarà efficace? Produrrà effetti politici positivi?
Per molti analisti l’iniziativa diplomatica francese, al contrario, non porterà a nulla di concreto, perché la “favola di due Popoli, due Stati… sono 25-30 anni che si racconta, soltanto per salvarci l’anima” (Lucio Caracciolo - direttore di Limes).
Pertanto, alla controproducente retorica propagandistica dovrebbe prevalere, invece il pragmatismo politico, partendo dal fatto che, al momento, non esiste lo Stato di Palestina se non sulla carta, essendo meramente “un’espressione geografica”. Per aversi un vero Stato esso deve rispondere a quei criteri minimi del diritto internazionale come una popolazione permanente; un territorio definito; un Governo effettivo che eserciti un controllo reale sul territorio e sulla popolazione, con la capacità di amministrare e mantenere l'ordine interno; un soggetto capace di tenere relazioni internazionali (concludere trattati o partecipare a organizzazioni internazionali); un ente con piena sovranità cioè non soggetto al controllo di un altro stato.
Come è noto, in forza degli accordi di Oslo, Israele riconobbe l'OLP come rappresentante del popolo palestinese, mentre l'OLP riconobbe il diritto di Israele a esistere in pace e sicurezza. Fu istituita l'Autorità Nazionale Palestinese (ANP) per amministrare parti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, con un governo autonomo temporaneo. Per quanto riguarda la Cisgiordania, che è il punto dolente della questione, l’anzidetto accordo divise la Cisgiordania in tre aree: Area A, sotto il pieno controllo civile e di sicurezza dell'ANP; Area B sotto il Controllo civile palestinese, ma sicurezza condivisa con Israele; Area C: Pieno controllo israeliano (inclusi insediamenti e aree militari).
Di conseguenza, il popolo palestinese è totalmente condizionato da Israele, il quale, nei giorni scorsi nella Knesset, con una maggioranza di 71 voti a favore e 13 contrari, ha approvato una mozione che impegna il governo a procedere all’annessione della Giudea e Samaria cioè, nel lessico biblico adottato dal governo Netanyahu, corrisponde alla Cisgiordania, oltre aver autorizzato 22 insediamenti di coloni nella predetta regione.
Per cui il ritornello “due Popoli due Stati” resta, ormai, uno slogan di grande ipocrisia a cui nessuno più crede, perché Israele non vuole la nascita di uno Stato della Palestina, essendo in gioco, ormai, la costruzione di uno “Stato ebraico” “dal Fiume (Giordano) al mare” (Grande Israele) che ingloberebbe i territori palestinesi la cui opposizione al predetto disegno da parte degli stati arabi sarebbe affievolita dopo “gli accordi di Abramo”.
Dunque cosa si può fare?
Fino a quando Israele ha l’appoggio incondizionato degli Stati Uniti, in pratica, niente.
Tuttavia, realisticamente la comunità internazionale potrebbe salvare il salvabile nel senso che secondo il principio “prima gli uomini e poi la terra” bisognerebbe tentare di salvare il più possibile vite umane palestinesi.
L’Italia -in unione all’Europa- in tale ottica può fare tanto: potenziare tutte quelle iniziative umanitarie tipo “food for Gaza”, sostenere l’evacuazione di donne e bambini palestinesi malati, oltre che offrire, ad una quota fattibile di uomini di Gaza, asilo politico, nonché interagire con la parte della società israeliana contraria a Netanyahu i cui esempi di opposizione si stanno moltiplicando negli ultimi tempi, al fine di rovesciare l’esecutivo.
Certamente sarà poco!
Tuttavia, meglio poco che nulla.