“Cerco l’estate tutto l’anno e all’improvviso eccola qua…”, così immortalò la “bella stagione” Celentano, su testo di Paolo Conte e Vito Pallavicini. L’estate, più che una stagione, è davvero qualcosa che appare, scortata dai suoi 40 gradi ed oltre, all’improvviso. Come se non ci fosse sentore di essa, né preavviso.
Immediata. Ferocemente calda. Eppure, sembra attesa per tutto l’anno. Nei malinconici e poetici pomeriggi autunnali, mentre ci dà il suo arrivederci e ci saluta con il delicato suono di una foglia che si posa a terra. Tingendosi di rosso. Nei lunghissimi istanti invernali, durante il freddo del nord, nella mite primavera. In un’aula scolastica: spiegando e apprendendo i verbi. E forse la vita. Perché chi parla bene, pensa bene. E “Le parole sono importanti”. Si attende durante le incombenze quotidiane, durante il nostro correre, il nostro apprendere, il nostro spiegare, il nostro vivere, concitato e frenetico. Anche inutilmente ansiogeno. Si attende alla fermata del bus. Nel suono di una sveglia: puntuale come una condanna! Nelle assenze affettive. Nella mia eterna nostalgia. Nella voglia di tornare nella propria Itaca. Nell’attesa di abbracci che ti ridanno a te stessa. Nella voglia di mare, sole, spiaggia. Nella voglia di meritate vacanze. Nell’attesa di qualcosa che sia letteralmente vacante. Impalpabile. I giorni, le settimane, i mesi, le stagioni, si alternano. E sì, dopo averla cercata per tutto l’anno, lei, repentinamente e fulminea, si palesa. E nella sua eterna promessa di essere leggera ed ilare, disimpegnata e sfrontata, allegra e sfacciata, preannunciata dall’ennesimo tormentone, mostra l’altra faccia di sé stessa. I pomeriggi oziosi, che stimolano il pensiero (per chi è abituato/a a questa facoltà!), i ritmi sospesi, che richiedono una nuova interazione anche famigliare. Mariti e figli h 24 (ma è davvero vacanza???). Esigenze diverse da incastrare e gestire. Il caldo che non dà tregua. L’afa che invade ogni fibra. I pensieri che si rincorrono, attendendo una moratoria. E proprio d’estate mi ritrovo a fare i conti con me stessa. È in questa stagione che compio gli anni. Ed altre estati si inseguono. Quelle passate. Quelle eterne. Quelle scolpite nella memoria. Quelle che hanno saputo essere solo mare. E felicità. Quelle senza domande. Quelle vissute. Semplicemente vissute. Ed in questo percorso a ritroso nel tempo, persa nelle mie trafelazioni estatiche, “… Io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando; e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”.
E resta, di tanta vita passata, una voce che ritrovo al mio ritorno. Sempre più stanca ed affaticata.
La voce di chi si prepara per il viaggio, quel viaggio così ostinatamente rimandato. Quella voce che ancora una volta è tenerezza ed amore. Quella voce che resiste.
Mentre io, malinconica e trafelata, pur nella mia versione marina, mi ritrovo gucciniana, come chi “aspetta sempre l’inverno, per desiderare una nuova estate”.