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SPEZZANO ALBANESE - Nella serata del 12 agosto prossimo la compagnia teatrale “il Sipario”, presso il Teatro comunale “Vincenzo Pesce” di Spezzano Albanese, presenterà la Piece teatrale intitolata: “55 i giorni che cambiarono l’Italia”, rappresentando la drammatica e controversa vicenda del rapimento di Aldo Moro, rivisitata dall’autore Cenzino Barbati con la cura delle pluri-scenografie di Pino Piragine.

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Questa volta il “Sipario” offre al proprio pubblico un’opera drammatica, occupandosi della ricostruzione del delitto politico più grave e sconvolgente della Storia della Repubblica Italiana, verificatosi il 16.03.1978 con il rapimento di Aldo Moro (Presidente della Democrazia Cristiana), l’uccisione della scorta (Oreste Leonardi, Domenico Ricci Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi), i 55 giorni di prigionia ed infine l’assassinio dell’ex Presidente del Consiglio (per ben 5 volte) il 9 Maggio 1978.
L’autore limita (anche per ragioni di sceneggiatura) l’attenzione, soltanto, su alcune figure centrali del “Caso Moro”, facendo interpretare a Demetrio Corino lo statista Barese, al quale, non soltanto è assegnato il difficile compito di trasmettere al pubblico il dramma personale ed umano patito dal rapito, bensì (con un’intuizione interessante di Cenzino Barbati) la capacità del medesimo politico a rendersi, sebbene in una situazione di precarietà ed evidente debolezza, il protagonista stesso della vicenda, tentando di tessere la costruzione di una trama e/o percorso di negoziazione con il mondo politico-istituzionale, finalizzato alla propria liberazione attraverso le 97 lettere scritte di cui soltanto 28 recapitate ai propri familiari, esponenti politici, istituzionali e religiosi.
Tutto ciò porta plasticamente ad un automatico ridimensionamento delle figure degli stessi rapitori (e carcerieri) di Moro, il cui ruolo di Mario Moretti, membro del Comitato esecutivo delle Brigate Rosse, nonché capo della colonna armata romana, partecipante all’agguato di Via Fani ed esecutore materiale dell’omicidio Moro, è affidato a Massimiliano Piragine e quello della sua compagna Barbara Balzerani ad Alesia Fioravanti. Luigi Avolio, invece, interpreta Valerio Morucci, organizzatore, protagonista del sequestro, nonché diffusore dei comunicati delle Br e delle lettere, scritte dal parlamentare democristiano che, unitamente alla compagna Adriana Faranda (interpretata da Annalisa Di Minco), contrari all’esecuzione di morte sentenziata, compiono un ultimo tentativo di sbloccare la trattativa (scambio di prigionieri) e/o comunque trovare una via d’uscita attraverso la mediazione di Lanfranco Pace (interpretato da Dino Vomero), giornalista di estrazione della sinistra extra-parlamentare, delegato del Psi e da una parte della Dc (gruppo Amintore Fanfani), avversi alla linea della fermezza imposta dal Governo, dal Pci e dai repubblicani di Ugo La Malfa.
Significativa la scena del dialogo tra il Presidente della Dc e Prospero Gallinari, impersonato da Rocco Gallucci, carceriere della prigione di Via Montalcini n.8, il quale enuclea il punto di vista dei terroristi, il progetto politico delle Br, la volontà di colpire la Democrazia Cristiana (di cui Moro è lo stratega più autorevole), cardine dello “Stato Imperialista delle multinazionali” che dovrà abbattersi e dare corso alla rivoluzione proletaria. In tale scena, con forte crudezza e in tutta la drammaticità del momento che il latitante terrorista disincanta le speranze di Moro evidenziandogli che il sistema politico, ormai, l’ha scaricato, considerandolo “un caso clinico”, fuori di testa che delira, del tutto destabilizzante e pericoloso se resta vivo.
Ed ancora: struggente la lettera inviata da Moro alla propria moglie ove l’autore, con grande potenza di sintesi, analizza la situazione di impasse, individuando l’incoerenza della politica della fermezza, adottata dal Governo e la perseveranza dei propri amici ad appoggiarla (Zaccagnini, Cossiga) e si congeda, consapevole che tutto, ormai, è vano con tenere parole di amore per Nora Moro e i propri figli: “Ma non è di questo che voglio parlare; ma di voi che amo ed amerò sempre della gratitudine che vi debbo, della gioia indicibile che mi avete dato nella vita. Avessi almeno le vostre mani, le vostre foto, i vostri baci...”. 
Mentre agghiacciante è l’epilogo della morte del prof. Aldo Moro (che non ha mai abbandonato l’insegnamento all’Università) è data dalla scena finale in cui è riprodotto l’audio originale della telefonata fatta dal Morucci all’avv. Tritto per comunicare alla famiglia l’ubicazione del corpo dell’Onorevole.
Questa volta Cenzino Barbati, appoggiato totalmente dalla compagnia teatrale, è riuscito, con grande maestria ed efficacia, a ricostruire con una linea descrittiva ed argomentativa chiara e coerente il “ Caso Moro”, argomento drammatico e complesso (e per certi versi ancora oscuro in alcune dinamiche) della storia del paese, il cui epilogo di Via Caetani simboleggia la fine della “prima Repubblica” i cui effetti saranno percepiti, soltanto, dopo qualche lustro ove la stessa vittima, parafrasando Pilato nel Vangelo di Matteo, profetizza: “il mio sangue ricadrà su di loro” (lettera del 07.04.1978 indirizzata ad Eleonora Moro).
Il 16 marzo 1978, mentre in Parlamento tutti attendevano Moro per votare la sofferta fiducia al IV Governo Andreotti, la nascita dell’esecutivo della solidarietà nazionale, ovvero quel tentativo politico, costruito dal Presidente della Dc per uscire dalla crisi sistemica della nazione, attraverso la collaborazione delle maggiori forze popolari dell’Italia democratica (Dc e Pci), non è arrivato, comportando quel corto circuito della storia le cui conseguenze, ancora, non sono state risolte. 
Oltre certamente al pregio artistico del testo teatrale, va riconosciuto nell’opera l’alto valore morale del messaggio che l’autore vuole lanciare, sostenendo che bisogna ripudiare ogni forma di violenza verso il prossimo e l’uomo viene prima di ogni altra cosa. Non c’ è ragion di stato, o interesse superiore che tenga che possa prevalere sul bene della vita degli uomini. 

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