CORIGLIANO-ROSSANO – Davanti al giudice il racconto del trentunenne marocchino che ha ammesso di aver colpito Monsif Youness. Una lite improvvisa, la fuga tra gli agrumeti e il dramma della solitudine che attraversa i braccianti stranieri.
Il volto di chi ha ucciso non racconta rabbia, ma smarrimento. Nelle parole di E.K.Y., il trentunenne marocchino accusato dell’omicidio di Monsif Youness, emerge una verità intrisa di paura, impulsività e rimorso. Davanti al giudice del Tribunale di Castrovillari, l’uomo ha ammesso di aver colpito il connazionale, spiegando di aver reagito in preda a un momento di panico durante una lite degenerata improvvisamente. La confessione, resa durante l’udienza di convalida nel carcere di Castrovillari, ha delineato un quadro che intreccia tensione, fragilità e convivenza forzata. Nell’abitazione di contrada Seggio, dove quattro uomini dividevano pochi metri di spazio e un quotidiano fatto di lavoro nei campi e silenzi pesanti, da tempo aleggiava un clima di nervosismo. Vecchie incomprensioni mai chiarite e un malessere silenzioso hanno finito per erodere la convivenza fino a trasformarla in un terreno di scontro. Secondo quanto emerso, la discussione sarebbe esplosa dopo un momento di preghiera condivisa. Bastò una parola, forse un gesto, per scatenare la rabbia e la paura. L’uomo avrebbe afferrato un coltello da cucina, colpendo il coinquilino più volte all’addome, in un gesto istintivo e disperato. Un’azione che lui stesso ha definito frutto del timore di essere aggredito, senza la consapevolezza di quanto stava per accadere. La scena che seguì fu di caos e incredulità. Gli altri due presenti tentarono di soccorrere Youness, mentre qualcuno chiamava i soccorsi. L’uomo giaceva a terra, ferito mortalmente, mentre il suo aggressore fuggiva tra gli agrumeti della zona costiera, cercando rifugio per due giorni nelle campagne di Corigliano-Rossano. Fu lì che gli agenti del Commissariato di Pubblica Sicurezza, con l’aiuto delle unità cinofile, lo trovarono e lo arrestarono, ponendo fine a una fuga più interiore che reale. Nel frattempo, la Procura di Castrovillari, guidata da Alessandro D’Alessio, ha avviato ulteriori accertamenti per ricostruire l’esatta sequenza dei fatti e verificare le dinamiche che hanno portato al tragico epilogo. L’arma, rinvenuta nell’abitazione, è stata affidata alla Polizia Scientifica per le analisi. Il delitto di Monsif Youness non è solo una pagina di cronaca nera. È il riflesso di una condizione di isolamento e precarietà che accompagna la vita di molti lavoratori stranieri. Nelle case condivise, nei campi di agrumi, tra turni massacranti e lontananze insopportabili, la fragilità diventa abitudine e la tensione può trasformarsi in follia. La sera del 4 novembre, in quella casa di contrada Seggio, la convivenza forzata tra quattro braccianti si è spezzata per sempre. Le parole si sono fatte grida, le grida sono diventate violenza, e sette colpi di coltello hanno scritto la fine di una vita e la condanna di un’altra.
Fonte: Gazzettino Ionico
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