Il 2025, segnato da rovesciamenti geopolitici dalle conseguenze di grande impatto sugli equilibri internazionali, sarà ricordato come l’anno dalla presa d’atto che la storia del mondo è cambiata, contrariamente alle teorie “sulla fine della storia” di Francis Fukuyama del 1992.
Nulla sarà come prima.
La “linea programmatica” del secondo mandato di Trump alla Casa Bianca, del tutto convergente con la politica degli apparati degli States, ha sancito formalmente, sebbene la sussistenza di segnali anticipatori già nelle precedenti amministrazioni, il ritorno ad una logica di potenza imperiale, a scapito del multilateralismo (XX secolo), in cui i più forti (Usa, Cina, Russia, India ed altri) impongono il proprio peso sui paesi più deboli.
Nel nuovo anno, benché, ancora, a qualche esecutivo (ed opinione pubblica nazionale connessa) sfugge (o non è chiaro), sarà necessario avviare una politica di estremo realismo, adeguandosi al nuovo corso oppure rimanere passivamente fagocitati ovvero alla mercè degli altri.
Sono queste le due strade che il mondo si trova davanti nel 2026.
Nell’ anno che verrà l’Europa dovrà fare i conti con un alleato (Usa) sempre più imprevedibile e distante, concentrato (ossessivamente) nell’area dell’Indo-pacifico, mentre la guerra in Ucraina appare ancora lontana da una soluzione.
Altrettanto vale per il Medio Oriente ove bisognerebbe puntellare la fragile tregua Israelo-Palestinese, chiamata a superare la sua fase politicamente più complessa, atteso l’inserimento di potenze mediatrici (come la Turchia) che potrebbero generare ulteriore tensione ed instabilità nella regione stessa, come peraltro si è, ormai, accesa in altre parti del mondo soprattutto nell’ottica del controllo delle rotte dei mari.
In un contesto in cui la forza sembra prevalere più delle regole del diritto internazionale la competizione tra potenze non si limita alla geografia tradizionale, invece, si estende a nuovi campi di confronto tecnologico: dalla sfida per lo spazio alla rivalità sull’Intelligenza artificiale.
L’avvento del “ciclone Trump” ha riportato al centro il tema della leadership, del rapporto tra consenso e funzionamento delle garanzie delle istituzioni democratiche.
L’anzidetta questione dovrebbe affrontarla con maggiore vigore, per esempio, la Premier Giorgia Meloni, accelerando quel processo politico in itinere di approdo all’area conservatrice di stampo liberale ed antifascista, oltre che allargare il perimetro dell’esecutivo con un’apertura verso quelle energie ed esperienze che oltrepassano i confini della base elettorale del Governo di destra-centro, incapace, in solitudine, di modificare senza un consenso più ampio l’assetto istituzionale italiano.
Per cui, il 2026 sarà anche un anno in cui le classi dirigenti saranno chiamate a compiere quelle scelte decisive per il destino dei loro paesi, ad ogni latitudine, compreso a livello locale, come per esempio la comunità di Spezzano Albanese, la quale è obbligata a ritrovare se stessa per tentare di fermare quel processo di decadenza, tante volte descritto nelle pagine di dirittodicronaca.i, superando quella visione programmatica folcloristica rivelatasi del tutto inefficace rispetto le reali criticità della comunità arbëreshe.
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