CORIGLIANO-ROSSANO - Il luogo che la città ha dedicato a Fabiana Luzzi è stato ancora una volta violato. Nella quiete della villa comunale dell’area urbana di Corigliano, proprio dove sorge il piccolo percorso della memoria creato per non dimenticare la giovane vittima di femminicidio, la scarpetta rossa è stata trovata sradicata dal basamento e abbandonata a terra. Poco distante, la panchina che accompagna il memoriale mostra segni evidenti di danneggiamento.
Gli operai comunali, aperto il parco, hanno recuperato la scultura (che si trova all’ingresso del parco intitolato alla sfortunata sedicenne) e avviato subito le operazioni di restauro. La scarpetta tornerà al suo posto, ma il gesto lascia un’ombra pesante: non è solo un oggetto a essere stato colpito, ma un simbolo, un messaggio, un monito che la città aveva scelto di custodire.
L’assenza di sistemi di videosorveglianza nell’area rende difficile individuare i responsabili, e riapre il tema – spesso discusso ma mai risolto – della tutela dei luoghi pubblici, soprattutto quelli che rivestono un valore civile e comunitario.
A denunciare l’accaduto è stata l’associazione Mondiversi, impegnata da anni nelle iniziative contro la violenza di genere. Il gesto, affermano, non rappresenta solo un danno materiale, ma «un’offesa diretta alla memoria di Fabiana e al significato che quel luogo porta con sé». È un atto che per l’associazione mette in discussione il rapporto della città con i suoi stessi simboli.
Ma ciò che rende il tutto ancora più amaro è l’ipotesi – sempre più ricorrente nelle reazioni dei cittadini – che l’autore o gli autori del gesto possano non avere nemmeno compreso il valore di ciò che stavano danneggiando. Non un attacco ideologico, dunque, ma stupidità, inconsapevolezza, superficialità. E forse è proprio questo a colpire più del danneggiamento: l’incapacità di riconoscere un simbolo, di comprendere la storia di una ragazza uccisa brutalmente, di coglierne il peso umano. Una città che non riconosce i suoi simboli è una città che rischia di smarrire la propria memoria collettiva. Lo ricorda, con amarezza, anche la famiglia Luzzi, che si ritrova ancora una volta costretta a vedere profanato un luogo nato per trasformare il dolore in impegno e il ricordo in responsabilità. Le opere saranno ripristinate, questo è certo. Ma il gesto invita a una riflessione più profonda. Non basta ricollocare una scultura o riparare una panchina: serve educazione, consapevolezza, vigilanza civica. Serve che la memoria non sia solo un luogo fisico, ma un valore condiviso. Perché la violenza – anche quando si manifesta in forma indiretta, attraverso l’incuria o la leggerezza – lascia comunque una traccia. Una ferita nella comunità. E il vero rischio è che, a furia di non riconoscere il dolore contenuto nei simboli, si finisca per perdere il senso stesso della memoria.
Fonte: Gazzettino Ionico
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