Giulio Andreotti ha vissuto l'ultimo tratto della sua lunga esistenza con l'amarezza di un “prescritto”, a seguito dell'ibrida conclusione del processo per mafia, svoltosi tra il 1993 e 2004, che gli ha precluso, dopo una lunga carriera politica (forse unica nel suo genere nei sistemi democratici), di raccogliere i tributi e gli onori di “Padre della Repubblica Italiana” erga omnes.

Bnl

Tuttora, dopo circa 12 anni dalla sua scomparsa, la polemica politica sullo statista è così accesa ed aspra che i tempi per esprimere un giudizio storico, critico (ma soprattutto sereno), appaiono non maturi, considerato, altresì, il tentativo (strumentale) reiterato e postumo di far passare (sebbene l'assoluzione dai reati ascrittigli), la figura del “senatore a vita romano” come “un amico di mafiosi di spicco” (vedi La verità sul processo Andreotti di Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte Laterza, Bari, 2018), poiché, nonostante tutto, il clima politico-culturale italiano resta a “prevalenza giustizialista”, teso a riscrivere la storia d'Italia in termini meramente giudiziari (vedi la “Vera storia d'Italia” di Silvestro Montanaro- Pironti), di cui ha dovuto (e deve) fare i conti l'erede di Alcide De Gasperi. 
Per una parte dell'Italia, dunque, nessun Paradiso per lo Statista ciociaro! 
Mentre, attualmente, a distanza di qualche anno, in controtendenza, forse, anche alla luce delle performances del tutto discutibili del nuovo ceto politico italico, deve registrarsi, viceversa, una maggiore attenzione e/o interesse dell'opinione pubblica verso la figura di Andreotti, generata non tanto per una forma di nostalgia nei suoi confronti e di quel periodo in cui ha dominato la scena politica italiana, bensì un senso di rimpianto verso una passata classe dirigente, composta da professionisti della Politica, di politici preparati e competenti, consapevoli di quali fossero gli interessi nazionali, le alleanze dell'Italia, le priorità del paese, declinate, certamente nel modo più discutibile ed opinabile.
Sennonché, nonostante siano stati anni complessi, non belli, molto difficili e drammatici (terrorismo, criminalità organizzata, golpe, P2, scandali, ecc.), purtuttavia si aveva la sensazione che l'Italia avesse una guida capace di percorrere la strada giusta.
In quest'ottica, malgrado Andreotti sia stato un personaggio controverso con molte ombre, egli raffigura, sicuramente, una delle chiavi (non l'unica) per comprendere l'evoluzione delle dinamiche politiche dell'Italia dal dopoguerra fino alla caduta del Muro di Berlino.
Perciò, per esprimere un giudizio sereno e non fazioso su quest'ultimo, non sussistendo ancora una distanza sufficientemente critica, è necessario superare gli ostacoli (come sostiene il senatore Corsini) di “una storia giustiziera” e “Politica vendicatrice” che, altrimenti, altererebbero la figura (per certi aspetti insondabile) del personaggio, castigandola, attraverso le “lenti del processo penale” ad una mera “storia criminale”. 
Tale equazione: verità processuale e verità storica deve ritenersi assolutamente erronea e fuorviante.
Essa non fa giustizia! 
Ed allora chi è stato Giulio Andreotti?
Per certi ambienti della sinistra (non tutti) il senatore a vita ha simboleggiato l'incarnazione politica di Belzebù, mentre per la cinematografia (vedi film Sorrentino) il “Divo” che non esprime altro che un'operazione artistica di deformazione semplicistica del personaggio.
Ed ancora: “Un politico romano e del Vaticano”!
Andrea Riccardi, difatti, l'ha definito un “cardinale esterno” all'interno del Consiglio dei Ministri del Governo Italiano, invece, altri “un ministro esterno” all'interno degli affari del Vaticano, rimarcando il forte legame, nonché il rapporto privilegiato di Andreotti con la Santa Sede, fattore decisivo che ha persuaso Alcide De Gasperi ad avvicinarlo nel periodo dell'esperienza alla Fuci nei primi anni quaranta, facendolo diventare il maggior collaboratore, nonché braccio destro del leader trentino.
Altri ancora l'hanno descritto come “un politico italiano e democristiano” nel senso che lo statista romano ha impersonato, tutto sommato, una specie di autobiografia della nazione, ovvero una proiezione del suo carattere, del suo costume, dei vizi e delle virtù. 
Eugenio Scalfari l'ha dipinto come “un misto tra un mandarino cinese ed un cardinale settecentesco” oppure un “generale gesuita del sedicesimo secolo”. 
Infine, Massimo Franco, autore del libro biografico su Andreotti “C'era una volta Andreotti”, nel descriverlo ha evocato la figura della Salamandra, poiché (secondo alcuni naturalisti medievali) quest'ultima resisterebbe a tutte le tribolazioni o avversità della vita, come del resto ha subito il senatore, nell'affrontare scandali, accuse calunniose, attacchi infamanti e quant'altro, nonché le vicissitudine giudiziarie (Processo di Palermo e Processo Pecorelli) nell'ultima parte della propria vita, quando il suo ineccepibile comportamento processuale, difendendosi “nel processo” e non “dal processo”, ha aumentato il proprio credito nell'opinione pubblica, facendone affiorare la sua statura di uomo di stato, che ironicamente, apostrofava: “A parte le guerre puniche mi viene attribuito veramente di tutto”. 
In realtà, Giulio Andreotti ha rappresentato l'emblema di due categorie fondamentali della politica ovvero quella del “Realismo Politico” e della “Ragion di Stato”, collocandosi in quella grande tradizione della diplomazia cattolica controriformata, in particolare, della versione della ragion di stato ecclesiastica, però, tradotta nella politica italiana. In altre parole, lo statista originario del comune ciociaro di Segni, è stato l'ultimo esempio del novecento della continuità di quella grande tradizione diplomatica cattolica che parte dopo la controriforma del Concilio di Trento. 
Ma attenzione: sarebbe fuorviante ritenere Andreotti un “Uomo di Stato”, né tanto meno “Uomo di partito”, atteso che non è mai stato segretario della DC, svolgendo nel suo lungo iter parlamentare, soltanto, il ruolo di capogruppo alla camera della Democrazia cristiana dal 1968 al 1971, bensì è stato “Uomo di Governo”. In particolare, è stato sette volte presidente del Consiglio, otto volte ministro della Difesa, cinque volte ministro degli Esteri, due volte delle Finanze, del Bilancio e dell'Industria, una volta ministro del Tesoro e una ministro dell'Interno, sempre in Parlamento dal 1945. 
Quindi è stato un uomo di Governo, e decisamente un “Uomo di Potere”, peraltro, nelle condizioni date e nei fini prefissati. 
Le condizioni date non sono altro che la Guerra Fredda e il Patto Atlantico, limiti invalicabili della propria azione ovvero confine politico che non può essere superato, ma all'interno del quale si può trattare di tutto con tutti, anche con i nemici.
Nell'anzidetta visione andreottiana, conditio sine qua non, resta sempre e comunque, l'inamovibilità e centralità dell'ex Presidente della Fuci e della Democrazia Cristiana.
In tale contesto deve interpretarsi la famosissima battuta del Senatore: “Il potere logora chi non ce l'ha”.
Dunque, non vi è chi non vede nella sua longevissima storia politica una linea di coerenza o come è stata definita da alcuni “coerenza camaleontica” nel senso che esiste un filo conduttore nell'azione politica andreottiana che parte dalla sua formazione all'azione Cattolica, continua nel centrismo degasperiano, si oppone (coerentemente) alla politica del Preambolo e si conclude con il CaF, svolgendo in momenti delicati della vita politica italiana il ruolo di Presidente del Consiglio nel 72 (Governo con i liberali); nel 76-78 (governo della non fiducia e Governo di solidarietà nazionale) e con Craxi nel 1989 in funzione anti-demitiana e anti-comunista. 
In altre parole, Andreotti ha rappresentato il garante del sistema.
Il custode dello staus quo!
La funzione storica è stata sempre coerentemente quella di rappresentare, ma allo stesso tempo tener d'occhio i ceti moderati, i quali sono stati favoriti sempre e coccolati nelle scelte politiche democristiane.
Il proprio ruolo è stato quello di impedire ogni avventura dei moderati e soprattutto di evitare lo slittamento dei ceti medi italiani a destra. 
In ques'ottica deve comprendersi la formazione nel 72 del governo Andreotti-Malagodi, esecutivo finalizzato a bloccare l'avanzata missina per riassorbirla nell'area centrista della Balena Bianca.
Sempre in tale logica deve motivarsi l'apertura al partito comunista di Berlinguer, azione politica ideata e costruita da Moro, il quale, nella sua lucidità, ha intuito in Andreotti l'unico risolutore dell'operazione, anche perché questi offriva maggiori garanzie sia alla Santa sede che alla Casa Bianca, evitando, altresì, il pericolo di spaccare la democrazia cristiana (ed il paese).
Di conseguenza, l'avversario ideologico di Andreotti è stato certamente il comunismo, però, di fatto, il vero avversario elettorale-politico di quest'ultimo deve individuarsi nella area conservatrice-reazionario-destroide italiana, tanto è vero che con la fine della guerra fredda e di conseguenza la conclusione della funzione storica della DC, i moderati sono stati risucchiati dalla destra (Vedi AN; Lega, Berlusconi, ecc.)
La suddetta funzione di “garante del sistema” si comprende ancora meglio in politica estera dove ha espresso, forse, il meglio di sé, tracciando da Ministro degli Esteri (ma anche precedentemente come ministro della difesa) le linee direttrici fondamentali della politica internazionale italiana.
Principalmente ha abbracciato, senza alcuna remora e dubbio la politica atlantica, ritenendo la scelta di “campo forzata” irrinunciabile e non trattabile. Alla luce dell'anzidetta concezione, bisogna decriptare la polemica frase, che infastidì non poco il cancelliere tedesco Kohl, in occasione della festa dell'unità del 1984, allorché disse al senatore Bufalini: “Tanto che amo la Germania che ne preferisco due”. Tuttavia, all'interno delle “Colonne di Ercole” (patto atlantico) ha valorizzato un sincero europeismo, nonché la consapevolezza che l'Italia fosse un paese mediterraneo e, quindi, legato a doppio filo con le dinamiche medio-orientali. 
Nella Visione geopolitica di Andreotti deve aggiungersi un'ulteriore bussola di riferimento, definita il “triangolo monoteista”, oggetto, peraltro, di frizione con la segreteria di stato americana, poiché individuava la risoluzione del conflitto arabo-palestinese in termini negoziali, facendo assumere un ruolo primario, rispetto la Francia e l'Inghilterra, all'Italia, la quale tuttora vive di rendita nello scenario internazionale grazie all'opera strategica- diplomatica del senatore a vita. 
In questo quadro politico complessivo, forse il limite di Giulio Andreotti resta una visione statica o tolemaica del sistema, nel senso che egli non intravvedeva uno sviluppo del sistema politico italiano, contrariamente alle intuizioni di Moro.
In effetti, con la caduta del muro di Berlino ed il collasso del sistema bipolare è crollato tutto un mondo politico di cui Andreotti era stato l'artefice, il quale, inesorabilmente, perdette la “bussola” e i suoi rifermenti. Di conseguenza, dall'anzidetto epocale episodio è iniziata la fase discendente dello statista romano, il quale, a coloro che gli contestavano la suddetta visione immobilista, rispondeva: “In fondo l'italiano più famoso al mondo è stato Crisoforo Colombo, il quale non sapeva dove andava, ignorava dove era sbarcato ed ha scoperto l'America”.
Nel sistema attuale ancora evidenti si intravvedono i segni dell'eredità politica di Andreotti il quale ha diritto di essere riconsegnato alla storia dell'Italia e dell'Europa.
Per cui, in conclusione, si può parafrasare lo stesso Andreotti, il quale nell'esprimere un giudizio su di sé sosteneva: “Io certamente non sono un gigante, ma guardandomi attorno non vedo soggetti più grandi di me!”.

@Riproduzione riservata

L'Editoriale

Quando la riscossione sbaglia, il cittadino paga!

La riscossione dei tributi locali, in Italia, è diventata un apparato che soffoca il cittadino. Società private, incaricate dagli enti locali, gestiscono accertamenti, ingiunzioni e pignoramenti con una velocità che non lascia spazio né al buon...

Controcorrente

Andreotti, il garante della prima Repubblica Italiana

Giulio Andreotti ha vissuto l'ultimo tratto della sua lunga esistenza con l'amarezza di un “prescritto”, a seguito dell'ibrida conclusione del processo per mafia, svoltosi tra il 1993 e 2004, che gli ha precluso, dopo una lunga carriera politica...

Parresia

Quattr’anni di solitudine

Pillole di pediatria

Le regole d’oro per l’alimentazione dopo il primo anno di vita

Lettere alla Redazione

Vivere o esistere?

Perché una donna?

L'angolo del Libro

La voce della domenica

Gusto e Benessere

Terrina di cavolfiore allo zafferano

Pubblicità

Pubblicità