Navanteri

Il voto dei calabresi di domenica e lunedì prossimo sarà un test significativo sullo stato di salute del “campo largo”, il quale, sebbene ritenuto inevitabile dai leaders del centro-sinistra, a seguito delle ultime perfomances elettorali (vedi risultati delle Marche), pare non decolli, disvelando evidenti criticità del tutto insanabili medio-tempore.
In verità, la nuova formula politica (della Schlein e di Conte) esprime gravi limiti non essendo convincente come alternativa politica credibile al governo Meloni, poiché, al momento, rappresenta soltanto una mera sommatoria di forze eterogenee (che vanno da Renzi a Fratoianni-Bonelli), perché di questo si tratta, senza un minino comun denominatore programmatico.
Attualmente non esiste una piattaforma politica condivisa la cui costruzione non sembra agevole, anche per ragioni prettamente personalistiche e caratteriali tra i vari leaders dello schieramento.
In effetti, opposte nel centro-sinistra sono le valutazioni economiche, con Renzi e Calenda, per esempio, favorevoli ad un’economia di mercato regolata, AVS per una sostenibilità molto spinta, al limite della decrescita, mentre Conte (e il M5S) basata sulla concessione di benefici diffusi alla popolazione (come il “reddito di cittadinanza” e il devastante “110%”), nonché i centristi assai più scettici o apertamente critici sulle politiche di tipo dei vari “bonus”. Per non parlare, altresì, di una totale assenza di convergenza sulla politica industriale (auto, l’acciaio e il suo indotto) ovvero sul tema delle infrastrutture, dell’uso del suolo, della ricerca del gas, delle fonti energetiche compreso il nucleare. 
Altrettanto vale per la politica estera, essendo le posizioni del tutto differenti ed a volte incompatibili (vedi guerra in Ucraina; le crisi nel Medio-Oriente, la questione Nato e le politiche del riarmo europeo e dei dazi). 
Tuttavia, il vero limite del campo largo non riguarda l’inesistenza di una linea programmatica convergente che si è ancora in tempo di impostare, e comunque, nella penisola italica lascia il tempo che trova (vedi governi Meloni), bensì nella totale assenza di una leadership condivisa da tutti.
Manca un federatore, come all’epoca, fu Romano Prodi. Sia Elly Schlein che Giuseppe Conte non sono in grado di assumere la guida del polo progressista, facendo sintesi tra le varie opzioni politiche.
Se il campo largo “piange”, il Governo Meloni “non ride”!
Non vi è chi non vede che la coalizione della destra-centro certamente non sta meglio, essendo evidenti le difficoltà a procedere nella direzione di un allontanamento dalle originarie (ed insostenibili) nostalgie estremiste verso una progressiva adesione al “conservatorismo e/o moderatismo” di stampo europeo che è cosa diversa dal “conservatorismo popolare o sociale” che la Premier vorrebbe percorrere. 
Epperò, nonostante le suddette forze della maggioranza governativa da trent’anni litigano, se ne dicono di tutti i colori, quando arriva il momento della verità, puntualmente si ritrovano uniti. 
Nella suddetta unità sta la vera forza della destra-centro.
Quindi, l’anzidetto quadro politico si riflette anche sulle dinamiche regionali i cui elettori, per come registrato nelle recenti consultazioni locali, pur prescindendo dai risultati amministrativi pratici, premiano gli esponenti legati al proprio territorio distanti, in ogni modo, da posizioni radicali.
La Calabria farà eccezione?

Il voto dei calabresi di domenica e lunedì prossimo sarà un test significativo sullo stato di salute del “campo largo”, il quale, sebbene ritenuto inevitabile dai leaders del centro-sinistra, a seguito delle ultime perfomances elettorali (vedi risultati delle Marche), pare non decolli, disvelando evidenti criticità del tutto insanabili medio-tempore.
In verità, la nuova formula politica (della Schlein e di Conte) esprime gravi limiti non essendo convincente come alternativa politica credibile al governo Meloni, poiché, al momento, rappresenta soltanto una mera sommatoria di forze eterogenee (che vanno da Renzi a Fratoianni-Bonelli), perché di questo si tratta, senza un minino comun denominatore programmatico.
Attualmente non esiste una piattaforma politica condivisa la cui costruzione non sembra agevole, anche per ragioni prettamente personalistiche e caratteriali tra i vari leaders dello schieramento.
In effetti, opposte nel centro-sinistra sono le valutazioni economiche, con Renzi e Calenda, per esempio, favorevoli ad un’economia di mercato regolata, AVS per una sostenibilità molto spinta, al limite della decrescita, mentre Conte (e il M5S) basata sulla concessione di benefici diffusi alla popolazione (come il “reddito di cittadinanza” e il devastante “110%”), nonché i centristi assai più scettici o apertamente critici sulle politiche di tipo dei vari “bonus”. Per non parlare, altresì, di una totale assenza di convergenza sulla politica industriale (auto, l’acciaio e il suo indotto) ovvero sul tema delle infrastrutture, dell’uso del suolo, della ricerca del gas, delle fonti energetiche compreso il nucleare. 
Altrettanto vale per la politica estera, essendo le posizioni del tutto differenti ed a volte incompatibili (vedi guerra in Ucraina; le crisi nel Medio-Oriente, la questione Nato e le politiche del riarmo europeo e dei dazi). 
Tuttavia, il vero limite del campo largo non riguarda l’inesistenza di una linea programmatica convergente che si è ancora in tempo di impostare, e comunque, nella penisola italica lascia il tempo che trova (vedi governi Meloni), bensì nella totale assenza di una leadership condivisa da tutti.
Manca un federatore, come all’epoca, fu Romano Prodi. Sia Elly Schlein che Giuseppe Conte non sono in grado di assumere la guida del polo progressista, facendo sintesi tra le varie opzioni politiche.
Se il campo largo “piange”, il Governo Meloni “non ride”!
Non vi è chi non vede che la coalizione della destra-centro certamente non sta meglio, essendo evidenti le difficoltà a procedere nella direzione di un allontanamento dalle originarie (ed insostenibili) nostalgie estremiste verso una progressiva adesione al “conservatorismo e/o moderatismo” di stampo europeo che è cosa diversa dal “conservatorismo popolare o sociale” che la Premier vorrebbe percorrere. 
Epperò, nonostante le suddette forze della maggioranza governativa da trent’anni litigano, se ne dicono di tutti i colori, quando arriva il momento della verità, puntualmente si ritrovano uniti. 
Nella suddetta unità sta la vera forza della destra-centro.
Quindi, l’anzidetto quadro politico si riflette anche sulle dinamiche regionali i cui elettori, per come registrato nelle recenti consultazioni locali, pur prescindendo dai risultati amministrativi pratici, premiano gli esponenti legati al proprio territorio distanti, in ogni modo, da posizioni radicali.
La Calabria farà eccezione?

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