Quasi quarant’anni fa (08.08.1986), se la memoria non mi inganna, allo Stadio Comunale “V. Vattimo” di Spezzano Albanese, gremito di giovani provenienti da ogni parte della provincia cosentina ed anche oltre, Riccardo Cocciante si esibiva, cantando i brani più famosi del proprio repertorio.
Per quelli della mia generazione (o più grandi) quella serata resta nella memoria forse il momento più bello ed alto che la comunità spezzanese abbia espresso, tanto è vero che quasi all’unisono viene presa come esempio di paragone tra la “Spezzano Albanese da bere”, viva e vitale degli anni Ottanta e quella “attualmente in declino”, depressa ed apatica.
Quella centralità e modello di crescita della società spezzanese, anche sulla base di elementi oggettivi è finita!
Cosa è successo in questi decenni? Perché questo decadimento della comunità?
Molteplici su questa rubrica sono stati i tentativi di approfondimento dell’anzidetto fenomeno degenerativo, individuandolo in diversi fattori generali e sovracomunali come quello della decrescita demografica dello spopolamento dai piccoli centri, delle cicliche crisi economiche, della disgregazione dei partiti tradizionali oppure in cause puramente locali come un evidente ceto politico fragile, sprovvisto di una visione, nonché di macroscopici errori di scelte strategiche che hanno fiaccato le energie del paese.
Non è necessario, quindi, ribadire ancora le responsabilità della politica, purtuttavia, bisogna ricercare le cause di tale stato soprattutto nella debolezza della società spezzanese del tutto passiva rispetto le dinamiche della comunità.
Spezzano Albanese da decenni è orfana della borghesia, la quale volente o nolente ha sempre scandito i tempi delle realtà locali e non solo.
Alle storiche famiglie del passato non sono subentrate come è avvenuto in ogni parte quelle nuove, prendendo in mano le redini del paese.
In particolare, la classe imprenditoriale locale, dopo il fallimento della Bcc della Sibaritide, architrave dell’economia spezzanese, è inesistente, tranne qualche positiva realtà che si conta sulle dita delle mani la cui funzione sia prima che attualmente appare del tutto di contorno.
Per non parlare altresì del ceto professionale (compreso ovviamente chi scrive) del tutto “amorale”, servo sciocco del potere, senza una minima autonomia di giudizio, impotente ad esprimere un’idea o una prospettiva ovvero incidere in libertà nelle dinamiche comunitarie.
Altrettanto vale per la classe intellettuale che è stata sempre sopportata e sofferta, tanto da dover trovare rifugio il più delle volte in altre realtà e comunque non svolgendo quella funzione di crescita del dibattito culturale, libero e critico del paese bensì, parafrasando Vittorini, nel limitarsi a fare il “pifferaio della rivoluzione” nelle forme più pittoresche.
Purtroppo, alla luce dei processi di trasformazione della società moderna italiana, nonché di un paese (Spezzano Albanese) del tutto disunito (il cui tema sarà oggetto di una specifica prossima riflessione), con un ceto politico autoreferenziale ed una classe dirigente latitante il futuro appare difficile e complicato per Spezzano Albanese.
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