Il pane, oltre che nutrimento principe, è da sempre un simbolo. Simbolo di vita, di tavole apparecchiate, di fede e superstizioni, “Ed il pane non si butta che è peccato!”, di riscatto e conquista, in quanto metafora: tutto si fa per… “Quel tozzo di pane”, ed ancora in tempi andati, che visto come va la contemporaneità barbarizzata, tanto andati non sono: l’unico nutrimento, di guerre e carestia.
E vi è in una qualche preghiera “il pane quotidiano” da invocare/attendere, chiedere in grazia o in qualche rivendicazione (legittima!) sociale e politica una conquista ed una battaglia. Il pane come ultimo acquisto alla boulangerie sotto casa, prima che chiuda, perché il pane è anche la sua dimenticanza, così abituati/e ad averlo, che la mente dimentica (o forse lo fa la mia di mente…) la sua assenza. Il pane ha diverse forme e sapori: molto salato/per niente salato, integrale, alla segale, ai cereali, alle olive, al sesamo, panini, baguette, pane da un kg, da due kg, da mezzo kg, pane per famiglie numerose, per famiglie ridotte, per single, pane che resta, pane che non si butta, pane da congelare. Per me il pane, o meglio il panino, è anche simbolo dell’estate e del mare. C’è tutta una ritualità che precede il mio approdo verso le spiagge sibarite: la preparazione del, e dei (Che il mare mette fame), panini. Con costume e copri costume, infradito e cappello di paglia da diva, quale sono!, occhiali da sole e… “sintomatico mistero” mi reco a preparare panini da spiaggia. Che sono i più buoni di tutti, un morso guardando il mare e la sua immensità e l’anima, soddisfatta ed appagata nell’immediato, si placa. In questa mia, appena trascorsa estate 2025, questa estate interrotta, che ha cambiato per sempre, senza possibilità di appello alcuno, la morte è cassazione, il senso del dolore e della perdita, non vi è stato approdo marino, panini munita. Agosto è il mese che trascorro a Terranova e da lì mi reco a Sibari, ma Sibari, ovviamente, mi rivedrà l’anno prossimo. Ammantata di novella nostalgia che durerà, e farà parte di me, deduco per sempre.
Resta, è il caso di dirlo, il pane quotidiano, senza mare e sapore spensierato. Il pane che, appunto, a volte, dimentico di comprare. Durante una recente telefonata con mia madre il pane, però, ha acquistato un’altra simbologia. Si fonde, ora, in una bella e curata e preziosa e silenziosa casa, con la perdita e l’assenza: irrevocabile. Mia madre il pane, che mio padre amava mangiare, lo comprava ogni giorno, “Fresco per Peppino, che non lo può masticare e gli piace”. L’altra sera, nella nostra già citata telefonata, mi ha detto che al negozio, l’eterno negozio della provincia non stuprato dai centri commerciali, avrebbe comprato un panino. Un solo panino, per lei sarebbe bastato. Non ha senso, ora, comprare un pane, perché durante un lutto anche le abitudini quotidiane cambiano. La giostra di routine che ci sono appartenute, identificandoci, si ferma e da quella giostra si deve scendere. La terra trema, perché oltre il dolore, bisogna reinventarsi una nuova vita, fatto di altro, con ciò che è stato nell’anima e nel cuore sempre. Si riparte dalla praticità, dall’acquisto di un solitario panino. E non so perché, forse perché nel mio essere crepuscolare i simboli del quotidiano mi colpiscono velocemente, è proprio pensando a quel unico panino, cara mamma, che avrei voluto abbracciarti, come sempre, come non mai. Avrei voluto, come ho fatto, come hai fatto, come stiamo facendo, accogliere tutte le tue lacrime, accarezzandoti il viso, il tuo bellissimo viso. Un panino, anche, come simbologia del dolore. Perché il pane non è mai “solo” pane. Eppure resto convinta che il dolore con il quale impareremo, imparerai, a convivere, lo stai già affrontando, Nina bella e preziosa, riparti, da ciò che resta. Dall’acquisto di un panino, dalla consapevolezza di aver fatto il possibile e l’impossibile per tuo marito. Hai, ovviamente, fatto molto di più che comprare un pane fresco ogni mattina, hai vissuto per 50 anni con un uomo, accudendolo, negli ultimi trenta anni senza sosta, sapendo sorridere, ed eravate così belli quando ridevate assieme. Che tu possa ritrovare il ricordo di quella risata, il suono di quella simbiosi, in un pranzo, nel morso di un panino, se pur solitario, nella tua essenza di donna saggia ed intelligente, che tanto ha dato, non come tutte le mamme e mogli e compagne del pianeta, nella tua unicità, non paragonabile a nessuna. Trova conforto nei ricordi, che belli sono, buona cena sempre mamma. s
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