L’anno ancora in corso sta per terminare, manca davvero poco all’ultimo giorno del 2025, e come sempre, per quanto retorico e forse scontato, è tempo di bilanci. Nell’arco di 365 giorni sono tante le cose che possono succedere, e che si vivono, perché la vita è intensa, e corre veloce, a volte molto più del nostro volere e del nostro agire.

Ogni anno chissà perché ci sembra che ci aspettino tante meraviglie, ed infatti brindiamo, poi magari le meraviglie non succedono, però si brinda sempre in modo augurale, ammantati di speranze. Cerchiamo attraverso riti festosi di dimenticare dolori passati, giorni brutti, malinconie sporadiche, eterni disequilibri esistenziali, e come Leopardi, che della vita aveva capito tutto, attendiamo la luna, che può essere una preziosa confidente, e cerchiamo di andare oltre l’orizzonte, cercando l’ infinito, o forse è l’eterno sabato del villaggio, l’attesa di qualcosa che verrà, a crearci vibrazioni che somigliano alla felicità. Quella felicità che sa essere nel corso di un anno più volte terra straniera, e ciò è contemplato dallo stesso vivere, però tu caro 2025 sei stato spietato e feroce. Eppure non eri partito malaccio, per tanti versi sei stato anche interessante, alcune mie antiche passioni sono rinate, ed anche questo mio ritorno qui a Diritto di Cronaca, grazie al direttore Emanuele Armentano, rientra sicuramente nelle cose belle, e preziose. Così anche come una supplenza più bella di altre: io nella mia versione “Attimo fuggente”, magari con un grado di esaurimento maggiore rispetto al Prof John Keating... e nuovi incontri, ed amici, amiche, persi per strada, e senza colpa, semplicemente pura vita, ritrovati. E come sempre tanti progetti e vortici di emozioni. E come ogni anno che si rispetti in te abbiamo atteso e cercato l’ estate. Ed essa, la bella stagione, puntuale è arrivata, e nel suo mezzo, nel suo lento languire, si è fermato il cuore di mio padre. E, carissimo 2025, i conti con te potevamo chiuderli in quel mentre, in quel non caldissimo 16 agosto, tutto ciò che di decente hai saputo fare si è dissolto, in questo lacerante addio. E no, caro 2025, non sei né assolto né perdonato. Perché la morte non richiede appello, e quindi anche la tua condanna è definitiva: nessuno sconto di pena, né trattative legali. Non sei stato solo feroce e spietato, sei stato beffardo e ostinato, non ti è bastato prenderti mio padre, per portarlo chissà dove, ti sei preso anche Giulia, un mercoledì di dicembre, il dieci. Giulia, la mia amica, di sempre, per sempre. Ho rincorso l’estate, ho atteso dicembre, pur consapevole che non sarebbe stato un Natale allegro, hai corrotto le mie attese. Mi hai spezzato nuovamente, perché per dirla con Sergio Leone, lo sai che si spara sempre al cuore (Ramon!). Ed allora non ti saluto con affetto, né stima alcuna, non te lo meriti. Smarrisciti pure tu chissà dove, dissolviti nella materia, dileguati, lascia giusto qualche attimo di leggerezza, che pure mi hai concesso, la capacità di barcamenarmi in tutte le versioni di me stessa, capacità che ho saputo affinare, lasciami un bacio che sembra non voler aver fine, un improvviso moto di tenerezza, l’eterno broncio intervallato da splendidi sorrisi che attraversano il viso di mia figlia, e l’abbraccio, per il quale ho dovuto preparare il cuore: quello odierno con mia madre, qui con me ora, è avvenuta la condizio sine qua non per questo nostro abbraccio lombardo. Eppure la malinconia intensa, che non si placa, trova conforto in un sorriso, in un ricordo, in tutto ciò che resta.

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