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Il due novembre è giornata commemorativa e commemorante, è il giorno in cui si ricordano, da calendario e tradizione, i defunti. Nasce come “festa di riparazione” nei confronti di tutti coloro i quali non hanno altari nel 998 all’iniziativa di Sant’Ordine, abate di Clusay.

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È, però, solo nel IX secolo che viene sancita la commemorazione liturgica, con la scelta di un giorno intero dedicato alla preghiera per i defunti. È quello del due novembre sentire religioso e mesto che rimanda ad ipotetici aldilà e mondi migliori nonché consolatori paradisi, è fede e speranza, per chi è stato/a toccato/a dalla grazia, ma è anche sentire intimo e privato. Poetico e letterario, che ricorda Foscolo nel de “I sepolcri” e “la corrispondenza di amorosi sensi”: il legame che si instaura tra morti e vivi, che niente ha a che fare con la religione ed il credere alla vita dopo la vita, ma con il ricordo e la memoria. E le tombe, così come tutti i riti ed i rituali di commemorazione, servono ai vivi: che tutto l’amore, tutta la memoria, tutti gli insegnamenti, ed il quotidiano che può assurgere a poesia, non vada sprecato. Che non se ne perda neanche una briciola, perché è tutto ciò che resta, che scalda, ancora, anche se fuori piove ed il cielo di Lombardia continua ad essere ostinatamente grigio. Eppure non mi aspettavo, perché la morte arriva sempre inaspettata, non invitata, ospite non gradita, superba ed altera, arrogante e rapace, che, caro Peppino, caro Papà, avrei dovuto sentirmi parte in causa di questo 2 novembre, causa la tua morte. Certo, questo giorno sarebbe arrivato, ma non è mai il momento giusto. Se pur perfetto nelle tempistiche, se pur spietatamente irreversibile; ci siamo visti, ci siamo salutati tutti/e, per l’ultima volta. Abbiamo fatto tutto ciò che dovevamo, ma soprattutto abbiamo vissuto, di attimi così preziosi ed intensi da divenire paracadute ed approdo. E te ne sei andato amato, accudito, cullato. Nessun rimpianto, compagno non pentito. Eppure la morte lascia increduli, e non mi sembra ancora vero. Era il momento dell’addio, e dopo tanta lotta ed ostinata resistenza avevi diritto al riposo, ma con tutto il mio fottuto egoismo avrei voluto averti ancora qui, ancora un po’. Non doverti commemorare oggi, cercandoti nei versi di quel Pasolini di cui pure ricorre l’anniversario a 50 anni dal suo omicidio: “E mi sarai lontano mille volte e poi per sempre”. Non avrei voluto sentire, se pur laicamente, tutta la tristezza di questo due novembre, come un compleanno un po' triste ed anomalo il cui festeggiato è assente. Non avrei voluto capire, così bene e come non mai, nonostante studi universitari passati ed attuali, l’importanza degli “amorosi sensi” ed il bisogno necessario di recarmi sulla tua tomba per portarti un fiore, sentendomi più foscoliana che mai. Sì, avrei voluto ancora averti un po’ qui con tutto il mio fottuto egoismo, con tutto il mio fottuto amore.

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