Navanteri

Si è appena conclusa la kermesse canora più famosa d’Italia: il festival di Sanremo. Io non l’ho seguito, o meglio l’ho seguito atipicamente: l’ho visto in replica il giorno dopo. Ho scoperto da un po’ che mia figlia, Ginevra, ha un’anima pop. Ha visto la pubblicità della gara canora e ne è stata subito conquistata. Siccome la sera dorme entro le 20.30 le ho fatto rivedere le puntate il giorno dopo. In ritardo di un giorno anche noi ci siamo sanremizzate. A mia figlia è piaciuta Annalisa (ca vans sa dire dato i gusti musicali che sta sviluppando, con mia buona pace) e Avitabile (Però!).

Io non amo molto questa trasmissione, anche se in epoche passate l’ho vista ed il ricordo è sempre così malinconicamente dolce, come un’improvvisa carezza che sa d’infanzia. Però, l’ammetto, amo, adoro, tutto il gossip che gli ruota intorno. Perché la leggerezza è una conquista che costa impegno e fatica, e si impara con gli anni. E quindi seguire Sanremo con mia figlia non è stata poi questa tortura. Lei più attenta alle canzoni, io ai vestiti ed a qualche caduta di stile della bionda e perfetta presentatrice che nulla ha di femminista, eppure spacciata per tale. Improvvisamente una canzone desta la mia attenzione. È Luca Barbarossa, “Passame er sale”. Non sono una sua ammiratrice della prima ora, ma le sue parole mi colpiscono. Sarà che gli anni passano per tutti e quindi anche per me. Sarà che per gli amori ultra romantici, un po’ borderline e/o sturm un drung “Passò quel tempo Enea”. Sarò che ho avuto l’influenza (l’abbiamo avuta tutti e tre). Sarà che ho un dente ballerino ed una paura fottuta del dentista. Sarà che gli impegni nella vita si moltiplicano e devo trovarmi, molte volte, nello stesso istante in luoghi diversi: vedere una casa (un trasloco ci aspetta), asilo per prelevamento pupa, pediatra, dentista. E la sera sono sfinita. E mio marito lo è più di me. A volte davvero i nostri dialoghi sono un errare fra “Passami il sale” ed “Abbassa la tv”, ed altre consuete amenità. Eppure in quel “Passame er sale” di Barbarossa è raccontata una storia d’amore, un viversi ed un amarsi ancora nonostante il tempo che fugge. E quanta dolcezza nel non saper parlare d’amore come fanno i poeti, ed invece saperlo raccontare per quello che esso è nei giorni quotidiani. Con gli affanni quotidiani. Perché la vita da spoot abbiamo capito tutti che è un inganno. E la poesia, forse, non è altro che poter dire a qualcuno “Mi balla un dente. Ho paura. Devo andare dal dentista. Vieni con me?” e la certezza che la risposta sarà un sì. La poesia è vivere con qualcuno per 20 anni e sognare di poterlo fare per altri 20. Detestandoci, a volte, ma con la consapevolezza di esserci. In mezzo a tutte le acrobazie che la vita richiede. Imparando ad essere acrobati dell’amore e del quotidiano.

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