Tra i drammi più celebri di Eduardo De Filippo vi è sicuramente “Natale in casa Cupiello”, opera teatrale scritta nel 1931, considerate fra le opere più rappresentative del Maestro. La sua fortuna, al di là della trama che ci immerge subito nel vissuto e nell’essenza dei personaggi, risiede anche nelle diverse rappresentazioni e dai suoi innumerevoli passaggi televisivi.
L’ opera è divisa in tre atti. Protagonista è Luca Cupiello, Eduardo, la cui esistenza sembrerebbe ruotare intorno alla preparazione del presepe, come sempre Eduardo ci restituisce nella sua drammaturgia protagonisti maschili sognatori, non sempre capaci di cogliere tutti gli aspetti familiari, e le intricate vicende che si annidano, l’anima pratica della famiglia è Concetta, la moglie. Che non sa fare il caffè, solo il caffè non sa fare Donna Concetta. L’ allestimento del presepe è “ostacolato” dalle critiche che Luca riceve dalla moglie e soprattutto da Tommasino, il figlio, al quale il presepe non piace: la tradizione rifiutata e rispedita al mittente, come signora vita richiede. Non sono, però, solo le critiche a complicare questo dramma familiare: le continue liti fra Pasqualino, fratello di Luca, che vive in casa Cupiello, e Tommasino rendono tesa la convivenza, il vero dramma però è personificato da Ninuccia, la figlia “maritata bene”, ma non innamorata del marito, Nicola, bensì di Vittorio Elia, amico di Tommasino, con il quale ha una relazione. La sera della vigilia di Natale Vittorio Elia verrà invitato a cena da Luca, ignaro di tutto, Concetta sa, la mamma sa sempre. La situazione esploderà nel peggiore dei modi. Sono passati tre giorni da quella vigilia, nel terzo e conclusivo atto, Luca venuto a conoscenza della reale situazione sentimentale della figlia ha avuto un malore, quello che oggi sappiamo essere un ictus. Come sempre succede nelle latitudini sudiste, dai primi del novecento ad oggi, attorno al suo capezzale vicini che sono famiglia, variegata umanità, caffè e rosario, il vociare, mentre Luca si avvia verso la morte. L’ interpretazione di Eduardo è magistrale: il suo braccio rigido e ignaro di sé stesso, sembra essere colpito realmente da ictus, il braccio di Eduardo è il braccio di mio padre. Si ride, si ride molto guardando quest’opera, ma si piange altrettanto. E forse di più. In punto di morte Luca rivolge per l’ ennesima ed ultima volta , la domanda : “te piace o Presepio?”, e questa volta è si, un si sussurrato e laconico, ricolmo di addio, mille volte lontano da tutta la possibile protervia giovanile. Ho sempre visto l’ otto dicembre Natale in casa Cupiello, facendo l’ albero: tradizionalista come non mai. La guardavo da bambina con la mia famiglia d’ origine e la guardo ora con Antonio e Ginevra, che nessuno/a si lamenti, che nessuno/ a si sottragga: è un rituale. Aspetto questa data. Ha il sapore di casa, di teatro, di antiche memorie, di passati studi universitari. Ho immaginato spesso a come sarebbe stato rivedere questa opera dopo la morte di mio padre, nessuna immaginazione, se pur fervida, ora che il momento è arrivato, avrebbe potuto farmi arrivare in qualche modo preparata. Il 14 agosto, due giorni prima, mi hai chiesto se avessi mangiato l’anguria. Me lo chiedi sempre, ci tenevi che io la mangiassi, forse perché l’ anguria per te restava come un simulacro di passate estati, la mia risposta puntualmente era no. Anche il 14 stavo per dirti no, sempre troppo distratta dalla vita e dalla morte, ma poi è stato si. È stata una delle ultime cose che ci siamo detti. Il nostro personalissimo Presepio. Si, si ride tanto con Natale in casa Cupiello, però si piange altrettanto. Io ho sempre pianto vedendolo, questo anno un po' di più. In questo freddo dicembre lombardo, fuori da ogni contesto climatico vorrei poterti dire, un’ ultima volta ancora, “Si l’ ho mangiata l’ anguria, mi piace”.
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