Manca meno di una settimana all’inizio dell’autunno, in terra di Lombardia la stagione malinconica e crepuscolare per eccellenza dà i suoi accenni. Le ore, già da un po’, sono più buie, e le giornate, seguendo il corso della vita e delle stagioni, inesorabilmente si accorciano.
Ci troviamo a vivere in quella stagione di mezzo, come qualcosa di sospeso. Che non è più pienamente estate e non ancora autunno. Eppure, di già, l’estate sembra essere così lontana, come qualcosa di vissuto in sogno. Le mie estati si somigliano, la routine sa essere balsamo, e non nego il mio essere abitudinaria. È fatta di incontri e ritrovi, di mare e collina, di pomeriggi lunghi e notti infinite. I miei rituali in qualche modo mi definiscono, mi sono cari. Mi pare che più di ogni altra cosa, forse più del mare, amo in estate passeggiare per le strade del mio paese, ricreando e ripercorrendo emozioni. Percorro i rioni, la Terra, il centro storico, cuore pulsante di un borgo. I suoi vicoli, belli, ordinati, le signore con le sedie al fresco, dove il tempo sembra essersi fermato, rappresentano un altrove. È in quei vicoli, dove alberga la poesia, che vi è la mia prima casa, della quale non ho così tanti ricordi, ma so di averla abitata e lei, in qualche modo, mi abita. Ed ancora la Zafferana, quartiere popolare, dove risiede la casa dei nonni e l’infanzia di mio padre. Il tratto di strada che mi è più caro, o forse solo più mio, infinitamente ed intensamente mio, è la salita che porta da casa mia al monumento e poi in piazza. Non una faticaccia, un breve percorso, durante il quale mi pare di rivedere tutta la mia esistenza. Per raggiungere il monumento e poi la piazza passo da casa di Geppina, cara e preziosa vicina, amica di una vita, dalla primissima infanzia ad oggi. Lei, davanti la porta, accudisce i gatti. Mi sorride, mi chiama, eternamente, fanatica (e fanatica sono!). Chiacchieriamo, sa, anche lei, delle mie abitudini estive, mi chiede, ed è una domanda retorica, se vado in piazza, sorride a Ginevra ed ha sempre un regalo per lei. Geppina, più che una nostra amica, è un simbolo, di quel mondo che pur a distanza mi accompagna sempre e mi nutre. Mi rivedo bambina giocare a nascondino, correre, urlare, cadere, farmi male, piangere e sorridere. E sento la voce di mia madre che si affaccia dal balcone: è ora di rientrare! Ed ancora adolescente e giovane donna e madre che accompagna una bimba verso le sue prime uscite e figlia che accompagna il padre, con il bastone, al bar, da Peppino ed Antonella, a prendere un caffè. E mi rivedo che percorro il cammino al rientro dall’Università, felice ed innamorata, scanzonata e leggera. Ed altre volte malinconica ed afflitta da un “qualche pensiero dominante”, o ancora che abbraccio la bandiera rossa e mi dirigo in piazza per qualcosa che nei miei sogni assomiglia alla Rivoluzione, acerba contestataria. Tutte le molteplici versioni di me stessa mi appaiono, mi emozionano, mi fanno sorridere. Le rivivo compiendo questo itinerario, dove la piazza è l’approdo (Ed il premio la pizza di Cianciaruso: Hosteria Antico Borgo nel cuore) e l’ingresso verso l’estate, la mia estate. Tutto ciò mi accompagna anche in autunno, a Nord dell’anima. È il percorso della memoria, è ciò che non si smarrisce, che resta, anche quando si lascia l’euforia delle piazze e ci si raggomitola nell’autunno, mentre il sole cede il passo ad una nuvola. Resta la malinconia, una margherita lasciata sotto la tua foto, rose rosse al cimitero, una tessera di Rifondazione Comunista, la tua, l’ultima, nel mio portafoglio, la sensazione pungente di un’estate interrotta. Di una passeggiata non compiuta, come non esserci arrivati/e a quel monumento. Eppure tutto vive in me, e c’è splendore anche nella tristezza.