A mio padre...

Dopo Ferragosto, l’estate si avvia al suo declino, il clima odierno sembrerebbe volerlo sottolineare, nella mia amata collina l’aria è fresca. Il cielo è grigio e si percepisce l’odore della pioggia. La mia eterna malinconia agostiana, quella nella quale amo crogiolarmi, rivestendomi di brame autunnali, in questi giorni post Ferragosto prende, però, un’altra forma.

Non ha più la poesia di un sentore pre-autunnale, non sa e non vuole avere le lacrime leggere di un arrivederci, ma ha la ferocia di un addio irreversibile. Il 16 agosto alle 3.00 di mattina mio padre è morto. Non è stata una morte improvvisa, o meglio una malattia lunga 30 anni, dieci dei quali allettato, avrebbe dovuto non farla apparire tale. La morte, invece, è sempre fulminea ed inaspettata. Sono arrivata in terra di Calabria a luglio, ti ho visto affaticato e stanco, eppure ho pensato che ci sarebbe stata ancora un’altra estate. Abbiamo chiacchierato come sempre, la tua voce un po’ più stanca, un po’ più debole, abbiamo iniziato a pensare ai preparativi per il tuo compleanno, il 20 agosto, abbiamo passato del tempo assieme. Sono andata via, al mare, a Crotone, che negli anni è diventata anch’essa, se pur in modo diverso, oltre che residenza marina luogo dell’anima, e tu ne sei stato felice che “chira guagliuna”, Ginevra, deve andare al mare. Che tu ci portavi sempre. Sono rientrata nella mia collina il 5 agosto, tu dormivi, ti sei svegliato dopo un’ora, ci siamo salutati, ti sei rimesso a dormire. Le mie consuete vacanze hanno ripreso il loro ritmo terranovese. Giornate lente, sere in piazza, Ginevra e le sue uscite, gli amici e le amiche di sempre, il caldo, le notti infinite, oziose e viziose, al contempo. Confidenze con mia madre, preoccupata per te. Da sempre preoccupata per te, nel suo costante, amorevole, devoto e paziente accudimento di te. Sì tu sei più stanco ed affaticato, vecchio e debole. E non vuoi mangiare, l’acqua con il cucchiaino. Però c’è ancora vita, ed il 9 arriva tuo figlio, mio fratello. Il 7 mattina abbiamo ascoltato musica assieme: le tue canzoni, le nostre canzoni, che ci riportano ad un tempo lontano. “Susanna mon amour” è stata la colonna sonora dei tuoi ultimi giorni. Del tuo compleanno non hai parlato più, non hai chiesto, non hai ordinato, non ti sei mostrato impaziente, come tuo solito. Io ti ho chiesto della festa e degli invitati, non mi hai risposto. I giorni sembrano essere un po’ tutti uguali nella loro sospensione estiva. Si mangia, si mangia sempre in Calabria, ma tu non mangi, si esce, si esce sempre in Calabria, ma tu non esci già da un po’. Infermieri, medico curante, l’ambulanza che va e viene, ed i ricordi sembrano già così lontani. Il 9 è arrivato tuo figlio, mio fratello, il tuo saluto un entusiasta “Anto’”. Il 9 sera un’altra ambulanza, non ti ricoveriamo, non vogliamo, non serve. Le flebo a casa, ancora una volta con Nina, la tua “Ninarella”. La partita della Juve non l’hai vista, però abbiamo continuato ad ascoltare “Susanna”, la tua ultima frase logica “Le canzoni di Celentano sono belle”. E quando fosse stato fondato il Partito Comunista in Italia non lo sapevi più, eppure ricordo che nemmeno due ictus aveva mai cancellato. Non vuoi più parlare, non rispondi alle nostre domande, solo una voce ti desta dal tuo torpore: è quella di Nina, e così deve essere. Lei per te è stata voce, occhi, gambe, aria e respiro, lei che in una sera di giugno ti ha fatto vedere la luna, spostando il tuo letto, rotelle munito, verso la finestra e sollevandoti la testa. Anche la luna ha portato nella tua stanza, la tua malattia è stata dignitosa, ridevi tanto, e come sapevi ridere con quella tua aria un po’ da guascone e scugnizzo di provincia, e come facevi ridere! Il 15 agosto con un filo di voce mi hai chiamata, ti ho raggiunto, baciato le mani, canto “Bandiera rossa”, leggo una poesia. Ti ho parlato, tanto ti ho parlato, e forse avrei dovuto farlo prima, c’è sempre un prima carico di rimpianti nella vita. Tutti, a nostro modo, ti abbiamo salutato. Ginevra, la tua papusa, ha saputo cullarti, con le sue carezze, Nina ti ha chiamato gioia, mio marito ti ha susurrato forza Juve, mio fratello ha saputo trovare parole per tutti. Il 16 alle 3 sei andato via, ci hai aspettato, facendoci l’ultimo regalo. Nella tua bara la bandiera rossa, il viaggio da pagare a Caronte, la sciarpa della Juve, le sigarette ed un accendino, che il viaggio è lungo, ed un rosario: “Perché il cuore di simboli è pieno”. Ed in quella bara sembri ringiovanito, finalmente libero. Sei tornato alla terra, sei tornato alla materia. E pur non avendo alcun credo religioso, mi piace immaginarti in una qualche balera che balli il twist o un tango, che accendi l’ennesima sigaretta, che corri in macchina o con Alex, il tuo cane. Buon viaggio Peppino, che la terra ti sia lieve, lievissima, come non ha saputo o potuto esserlo la vita. Sei stato tante cose, coerente e idealista, comunista non pentito, ironico e divertente, burbero, sovietico ed impaziente, generoso come pochi. Per me sei stato mio padre, e tanto basta. Ora riposa, riposa in pace.

 

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