COSENZA - «Accogliamo con soddisfazione la notizia relativa all’assegnazione al Centro antiviolenza “R. Lanzino” di una nuova sede dove svolgere le proprie attività. Si tratta sicuramente di un forte segnale politico di vicinanza a realtà che operano per la creazione di una cultura del rispetto e del contrasto alla violenza di genere».
Così scrive l’Equipe Socio-Sanitaria-Sopravvissuti a Torture in una nota, nella quale si legge ancora: «Portiamo tuttavia all’attenzione del Comune di Cosenza e della Regione Calabria che, all’interno degli spazi dell’ex I.N.A.P.L.I., opera da oltre 13 anni un’altra organizzazione per il superamento dei traumi da violenza estrema e da tortura da parte di donne, uomini e bambini richiedenti protezione internazionale. Constatiamo con grande amarezza che alle numerose richieste di incontro per l’assegnazione di una sede dove continuare a operare, inoltrate sia al Comune di Cosenza che alla Regione Calabria (partner del Protocollo di Intesa per le modalità operative dell’equipe sociosanitaria) non è stato dato riscontro alcuno. Nessuna risposta, nessun segnale, nessuna comunicazione che un minimo di correttezza politica avrebbe richiesto! Siamo consapevoli che - nell’attuale momento storico - alcune istituzioni e diversi strati della società preferirebbero che le persone delle quali ci occupiamo morissero in mare o dissanguate all’interno delle carceri libiche profumatamente pagate dai governi italiani. Siamo consapevoli, altresì, del totale disinteresse da parte delle istituzioni nei confronti del delicato lavoro che svolgiamo, da sempre in maniera gratuita, all’interno dell’equipe sociosanitaria per l’emersione, la diagnosi, la presa in carico dei sopravvissuti a tortura. Tutto ciò è crudele nei confronti di coloro che l’hanno subita ma anche folle sotto il profilo della gestione della salute pubblica poiché l’assenza di interventi socio-sanitari specifici produce il costante aumento di situazioni cronicizzate di grave disagio psico-fisico, che prima o poi esplodono dentro i servizi pubblici. La tortura è una pratica universalmente vietata ma ancora presente in oltre 140 paesi e spesso connessa all’esperienza migratoria dove nello spostamento forzato di persone si registrano forme estreme di violenza. L’equipe, nel corso dei 13 anni di attività, ha sopperito a una grave carenza da parte delle ASP e ha contribuito a decongestionare i Centri di Salute Mentale del territorio i quali si troverebbero, altrimenti, a doversi fare carico di un numero drammatico di migranti forzati e a dovere mettere in atto azioni e percorsi di tutela della salute nei sopravvissuti a tortura, sia in termini di prevenzione che di assistenza, cura e riabilitazione. Al momento abbiamo in carico oltre 90 persone, anche minori, nei confronti dei quali i percorsi intrapresi non possono assolutamente essere sospesi in quanto processi di ricomposizione dei frammenti della mente e del corpo. Chiediamo, dunque, per l’ennesima volta che le istituzioni accolgano la nostra richiesta affinché il doloroso percorso di riabilitazione dai traumi da tortura non debba interrompersi. Non è nostra intenzione arretrare di mezzo passo rispetto al nostro operato nei confronti di persone fragili e traumatizzate, spesso considerate dalle istituzioni e dalla società alla stregua di rifiuti e scarti umani. Ribadiamo infine che, nello stesso posto che ci ha visti fino a questo momento operativi resteremo, fino a quando la nostra richiesta non sarà accolta!».