LUZZI - «Siamo studenti del quinto anno del liceo classico di Luzzi. Studiamo filosofia, greco e latino non per nostalgia, ma perché crediamo che il pensiero critico, la bellezza della parola e la profondità della storia siano strumenti per comprendere il presente e costruire il futuro».
È quanto dichiarano gli studenti del liceo classico di Luzzi in una nota di protesta, che continua: «Per questo oggi denunciamo con forza un gesto che ci ha feriti e indignati: i libri che erano rimasti nella nostra vecchia sede sono stati buttati via. Libri di filosofia, di greco, di latino. Libri che parlavano di Platone, Aristotele, Seneca, Ovidio. Libri che ci hanno insegnato a pensare, a dubitare, a cercare il senso delle cose. Libri che non erano solo carta, ma memoria, identità, cultura. Erano parte della storia del nostro liceo. Testimoni silenziosi di generazioni di studenti e docenti, di lezioni appassionate, di scoperte. Ogni volume portava con sé il peso del tempo, delle mani che lo avevano sfogliato, delle menti che vi avevano trovato ispirazione. Erano il cuore pulsante di un’istituzione che ha sempre fatto della cultura la sua ragion d’essere. Vederli trattati come rifiuti è stato un atto di violenza simbolica. Un gesto che ci ha fatto sentire invisibili, ignorati, svalutati. Come se ciò che studiamo non contasse più. Come se il sapere potesse essere gettato via senza conseguenze. Ma ciò che fa più male è sapere che quei libri li avevamo affidati. Li avevamo lasciati nelle mani di chi avrebbe dovuto proteggerli, custodirli, riconoscerne il valore. E invece sono stati abbandonati, dimenticati, eliminati. Non per necessità, ma per incuria. Per mancanza di rispetto. Per ignoranza, nel senso più profondo e più grave del termine. La cultura non è un lusso. Non è un oggetto decorativo. È ciò che ci forma, ci plasma, ci rende liberi. È ciò che ci permette di pensare con la nostra testa, di leggere il mondo con occhi critici, di non essere schiavi dell’immediatezza e dell’oblio. E quando si gettano via i libri, si getta via anche tutto questo. Noi non vogliamo restare in silenzio. Non possiamo. Perché il silenzio sarebbe complicità. Vogliamo denunciare pubblicamente quanto accaduto. Vogliamo che si sappia. Vogliamo che si rifletta. E vogliamo che si chieda scusa. Non a noi soltanto, ma alla cultura stessa. Abbiamo perso dei libri. Ma non perderemo la voce».

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