Tu ami troppo o troppo poco?
- Scritto da Mario Gaudio
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- Pubblicato in L'angolo del libro
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Parthenope è donna prima fragile poi vigorosa, inizialmente libertina successivamente prigioniera del passato e del tempo che scorre senza tregua, in gioventù esteticamente magnifica in vecchiaia moralmente decrepita. Parthenope è contraddizione, ossimoro, tutto e il suo contrario, elevazione e dannazione, storia e parodia, istinto animale e innocenza celestiale, sentimento da empireo e azione da girone dei dannati. È lei la protagonista dell’omonimo libro ‒ e successivo film ‒ di Paolo Sorrentino.
Con una bellezza, di cui impara ben presto ad utilizzare il potere, infrange cuori e alimenta illusioni durante una lasciva estate caprese e in una Napoli «libera, pericolosa e che non giudica mai».
Tra un gesto provocatorio, una battuta tagliente, un rimpianto e un vortice vitale di cui è, al tempo stesso, causa ed effetto, colleziona una serie di relazioni di cui, quasi al termine del libro, traccia un malinconico bilancio che ha il sapore amaro di una confessione: «Sandrino, il primo amore. Poi, ho amato uno scrittore perduto, un camorrista buono, un’attrice devastante, un professore paterno, un vescovo triste. Gli altri, non me li ricordo».
Parthenope diventa inevitabilmente satura di se stessa, soffocata dalla città di cui, secondo il mito, porta il nome e quel mare del Golfo che da sempre ha incantato i suoi occhi diviene semplice acqua salata. Capisce che è giunto il momento di perdersi per ritrovare l’essenza, di abbandonare il suo mondo per ricostruirne uno completamente diverso tra le montagne di Trento, salvo poi ‒ dopo mezzo secolo ‒ ritornare tra i luoghi natii e scoprire di averli sempre portati nel cuore, non riuscendo a liberarsi da quel grumo di ricordi dolorosi che le hanno segnato l’esistenza dal giorno della morte del fratello Raimondo.
Di lui, Parthenope ‒ che pure è antropologa avvezza allo studio dell’Uomo e delle sue abitudini ‒ non è riuscita a comprendere appieno la fragilità, il bisogno di liberarsi da un rapporto morboso, a tratti caratterizzato da increspature incestuose, che il giovane coltiva nei suoi confronti, indebolendo ulteriormente un’anima tormentata che «confondeva l’irrilevante col decisivo».
Tutto ciò contribuisce a dissolvere un legame familiare in cui Sasà e Maggie, rispettivamente padre e madre della protagonista, si allontanano irrimediabilmente, rintanandosi il primo in una relazione omosessuale, la seconda in un rapporto adulterino.
A nulla vale la saggezza, malamente intrisa di ironia, con cui il vecchio e ricco armatore Lauro tenta di raddrizzare la vita di Parthenope. Niente riesce a frenare una corsa verso l’ambiguità che diventa la cifra dominante dell’intera narrazione: equivoco è l’incontro che la giovane ha con Flora Malva ‒ disillusa insegnante di recitazione e attrice decaduta ‒ che si concluderà con un bacio saffico; sfuggente e non ricambiata è l’infatuazione verso il vecchio scrittore statunitense John Cheever; enigmatica è la brevissima liaison con Roberto Criscuolo, boss della malavita che ha il suo regno nel ventre malfamato di Napoli in cui la miseria, il timore e il rispetto si mescolano per generare scene di umiliante degrado popolare.
Nonostante tali brutture, come spesso accade, è concessa a Parthenope una via di scampo. Essa si incarna nel miope e apparentemente burbero professor Marotta che, geloso custode di un doloroso e tenero segreto familiare, intuisce tutte le potenzialità intellettive della ragazza, ponendola pertanto sotto la sua guida e consentendole di intraprendere una fruttuosa carriera accademica.
Nella variegata umanità che si affolla tra le pagine del libro di Sorrentino, il meticoloso docente appare come personaggio luminoso e profondamente umano, sicuramente capace di compassione e l’unico a nutrire sentimenti esclusivamente paterni per la seducente protagonista.
Una nota a parte merita infine il vescovo Tesorone, cardinale in pectore, eminenza grigia, stricto sensu, del Duomo di Napoli, il cui cinismo si accompagna ad una lucidissima intelligenza e ad una sconveniente lussuria. Il prelato possiede Parthenope, lo fa in un luogo sacro e ricoprendo quel corpo tanto desiderato con i gioielli del famoso tesoro di san Gennaro ma, per quanto possa apparire abietto nei modi e nei gesti, egli, con arguzia levantina, pone alla protagonista una domanda scomoda ‒ a tratti inquietante ‒ che, in fin dei conti, racchiude il significato esistenziale dell’opera di Sorrentino: «Tu ami troppo o troppo poco? Sta tutta qui la differenza».
Un interrogativo, un dilemma o, a ben vedere, una sentenza. Ma non è forse l’amore il metro sul quale saremo giudicati?
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Emanuele Armentano