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Gabrielli dopo l'inaugurazione: "Territorio sotto le nostre attenzioni" In evidenza

Franco Gabrielli Franco Gabrielli
Agos

CASTROVILLARI - A margine dell’inaugurazione del nuovo Commissariato di P.S., il Capo della Polizia Franco Gabrielli si è concesso ai taccuini dei cronisti. Nella sua dichiarazione sullo stato attuale dell'organico della Polizia ha affermato: «Abbiamo vissuto una stagione nella quale l’età media si è molto alzata, gli organici si sono un po' rimpiccioliti, forse non c’è stata nel tempo un’attenzione a immaginare che poi le persone vanno in pensione e peraltro -ha aggiunto- dovete anche sapere che nella nostra Amministrazione, ma questo riguarda anche le altre due Forze di Polizia, c’è stata una concentrazione di arruolamenti negli anni ’80 e ’90 e quindi adesso abbiamo grandi dismissioni per cui faticosamente stiamo risalendo la china.

Negli ultimi due anni la Provincia di Cosenza ha avuto quasi 90 unità di trasferimenti in questa sede, ovviamente a volte gli stessi non riescono a compensare le uscite ma – ripeto – queste sono le risorse di cui disponiamo e questo è un territorio che deve avere una particolare attenzione e una particolare cura. La nuova struttura di Castrovillari oggi dona ai nostri colleghi un luogo dignitoso. Dal mio punto di vista -continua- quando c’è un luogo che rappresenta lo Stato rendiamo un servizio sia ai colleghi che vi lavorano ma anche ai cittadini che vi accedono, perché accedere in un luogo che rappresenta in maniera dignitosa lo Stato credo che faccia bene a tutto il territorio. Purtroppo, però, non ho la stampante 3D per riprodurre i colleghi e le colleghe, e man mano che usciranno i corsi questo sarà un territorio a cui presteremo la dovuta attenzione. Non è questo né un gesto di generosità né una modalità di cortesia istituzionale, ciò è perché riteniamo che questi territori debbano avere la giusta attenzione e la giusta considerazione. Non possiamo dire da un lato che esiste un tema criminalità e illegalità e poi dall’altro non far corrispondere azioni conseguenti, però le azioni conseguenti scontano i limiti che sul versante del capitale umano datano nel tempo».
Sull'importanza della collaborazione dei cittadini con le forze dell'ordine, Gabrielli ha detto: «Quando le comunità si riconoscono come cosa propria, e c’è un utilizzo un po' meno negativo di “cosa nostra”, noi siamo parte dei territori chiamati a garantire la sicurezza. Ma la sicurezza ormai è sempre più un concetto complesso che non può essere solo attribuito ad un soggetto istituzionale o a più soggetti. Non a caso nel tempo abbiamo cominciato a parlare di sicurezza integrata, perché ovviamente vi dovevano concorrere non soltanto le autorità statuali ma anche quelle locali. E poi abbiamo cominciato a parlare di sicurezza partecipata, perché se non c’è il concorso di tutti, se i cittadini non si considerano solo degli utenti della sicurezza ma dei protagonisti della sicurezza, pur non volendo significare altro perché non vorrei essere equivocato, non si può esserne tali. Guardate, noi non chiediamo ai cittadini di essere “eroi” o di farsi giustizia da soli o di allestire servizi alternativi a quelli che sono quelli statuali, istituzionali e locali: nulla di tutto questo, perché è l’esatto contrario. Quello che chiediamo ai cittadini è che siano parte e che siano dalla “nostra parte”, che vedano laddove è opportuno vedere, che denuncino laddove è opportuno denunciare, perché solo così spezzeremo alcune logiche, alcune modalità che poi rafforzano le organizzazioni criminali. Non a caso nella definizione del 41 bis si fa molto riferimento al concetto dell’omertà, ossia di non rendere possibile la denuncia da parte dei cittadini che è un punto di forza delle organizzazioni criminali perché loro, attraverso questo modalità, non solo salvaguardano l’organizzazione ma trasmettono un messaggio forte al territorio e cioè il loro potere che troppo spesso nel tempo è andato sostituendosi a quello legale, al potere statuale e delle istituzioni. Il ruolo dei cittadini è, quindi, fondamentale: non tanto utenti passivi di un bene che s’immagina sia solo nella disponibilità di altri ma nel concetto di sicurezza partecipata una modalità con la quale ognuno di noi, a vari livelli, sia importante, perché – ripeto – noi non vogliamo eroi. Felice quel popolo che non ha bisogno di eroi, noi vogliamo cittadini consapevoli perché riteniamo che la consapevolezza nel mondo dei rischi sia fondamentale e questo ve lo dico anche per la mia pregressa esperienza in Protezione civile, peraltro, ahimè, in un territorio molto soggetto come questo a problematiche di questa natura. La consapevolezza è la precondizione della maturità di una comunità. Tanto più si è consapevoli dei rischi, del malaffare, che certi comportamenti lo alimentano e tanto più si concorre alla sicurezza della propria comunità. È un percorso che in alcuni territori costa di più perché anche qui non ci dobbiamo nascondere dietro a un dito, ci sono territori più difficili, più complicati però mi piacerebbe anche qui che non ci si sedesse e non si utilizzasse come alibi il fatto che questo è un territorio complicato, lo è stato storicamente lo è tuttora per certi aspetti ma è anche un territorio ricco di tante opportunità, ricco di tanta gente perbene. Allora, si tratta soltanto di mettere in moto un meccanismo virtuoso che renda almeno alle persone perbene, le persone di buona volontà, tutti dalla stessa parte al “servizio” della comunità. Non a caso prima ho utilizzato questo verbo. Qualche anno fa le piazze quando ci volevano denigrare ci chiamavano “servi dei servi”, io dico sempre che quando il Pontefice sale al soglio Pontificio uno degli otto titoli che gli viene attribuito oltre a Vescovo di Roma ed altri è “Servus, Servorum”. Quindi credo che il “servire” per chi ha deciso di fare il nostro mestiere sia il verbo più appagante, noi ci appaghiamo quando i nostri concittadini sono soddisfatti come la famosa “customer satisfaction” ovvero la soddisfazione del cliente, noi ci appaghiamo quando i nostri concittadini sono contenti e al tempo stesso “appagati” dal nostro lavoro e in questo senso ai miei, alla mia gente, dico sempre che la cosiddetta percezione di insicurezza non è uno stato psicologico, perché quest’ultima passa molto spesso attraverso la mancata percezione della nostra presenza perché i cittadini vogliono vederci alle ore e nei luoghi che dicono loro, non agli orari che impone magari il nostro contratto di lavoro».

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