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San Marco Argentano: la sanità pubblica che muore per rinascere privata

San Marco Argentano: la sanità pubblica che muore per rinascere privata
Navanteri

C’è una regola non scritta che si ripete ovunque il mercato metta le mani su un servizio pubblico: prima si crea il disservizio, poi si invoca il privato come unica via d’uscita. È la logica dello svuotamento silenzioso dei beni comuni, seguita dalla giustificazione morale del profitto. Ed è esattamente ciò che sta accadendo sotto gli occhi di tutti a San Marco Argentano, dove l’unico presidio sanitario pubblico nel raggio di 50 chilometri viene svuotato delibera dopo delibera, riforma dopo riforma.

Non è affatto complicato mettere insieme le tessere di un disegno strategico preciso e coerente quanto subdolo. Una dinamica che, per usare l’approccio di Naomi Klein nella sua Dottrina dello shock, segue uno schema noto: si genera confusione, si lascia marcire, si produce sfiducia e infine si propone la soluzione del privato come “ultima speranza”.

La confusione come miccia sull’asse San Marco-Roggiano
La decisione di spostare (con modalità assolutamente incomprensibili) le principali funzioni esistenti presso l’ex Ospedale verso la nascente Casa di Comunità HUB di Roggiano Gravina appare come un’operazione perversa, deliberatamente inconsistente, ma orchestrata ai piani alti della politica e della governance sanitaria regionale, avallata dalle amministrazioni locali seppur priva di logica funzionale. Resa ancora più inconsistente dalla previsione di una Casa di Comunità SPOKE (quindi di entità minore) da (ri)organizzare presso lo stesso ex Ospedale. Un pastrocchio che si fa fatica a capire anche in virtù della normativa vigente. Per completezza di informazione ci occorre richiamare il DM 77/2022, il quale prevede come requisiti minimi per le Case di Comunità HUB un bacino di utenza tra 40.000 e 50.000 abitanti, mentre per la SPOKE tra 20.000 e 25.000 abitanti. Appare chiaro che i circa 46.000 residenti nel distretto non siano sufficienti a garantire l’attivazione di entrambe le strutture.
Nessuno lo denuncia apertamente, nessuno ne parla. Eppure, i contorni sembrano abbastanza chiari: assenza di un piano operativo, impossibilità di duplicare i servizi a causa delle limitazioni normative e della cronica carenza di personale. Lo scenario al quale prepararsi è facilmente prevedibile: il fallimento nel funzionamento di entrambe le strutture. Ma chi vince in tutto questo? Chi è pronto a subentrare, con strutture già attrezzate, personale reclutabile?
Riconducendo tutto ancora una volta alla logica descritta da Klein, possiamo parlare di una vera e propria confusione produttiva: i pazienti saranno spaesati senza chiarezza su chi fa cosa, come e dove, i percorsi di cura diventeranno labirinti e crescerà l’illusione che il privato sia “più serio, più stabile, più affidabile”.

AFT pubblica sabotata, medici costretti a privatizzarsi per esistere
Un segnale emblematico del percorso imboccato è la vicenda dell’Aggregazione Funzionale Territoriale (AFT) promossa da 18 Medici di Medicina Generale. Nel 2022, tutto era pronto per attivare una AFT pubblica nei locali dell’ex reparto di Ginecologia del “Pasteur”. I medici c’erano, la struttura c’era, i lavori di adeguamento erano già appaltati.
Ma l’ASP ha fermato tutto. Ai medici è stato esplicitamente suggerito di costituirsi in forma privata. Non per convinzione, ma per poter esercitare. Un sabotaggio travestito da suggerimento. Questo episodio incarna perfettamente la logica del neoliberismo sanitario: non solo si taglia il pubblico, ma si spingono gli operatori a starne lontani, svuotando dall’interno ogni funzione possibile.

Lo smantellamento dei servizi essenziali, sottotraccia ma inesorabile
Il destino del Laboratorio Analisi e del Punto di Primo Intervento è ormai segnato: entrambi destinati a sparire. Il destino del primo è ancora incerto, quello del secondo scritto nero su bianco. Comunque ci si arriverà (ancora una volta) per gradi: senza laboratorio, il PPI non potrà operare nemmeno ai livelli minimi odierni e sarà visto come l’ennesimo ramo secco. L’effetto a cascata continua, poiché senza PPI, il filtro territoriale salta. Anche per una banale malore o incidente che richieda una radiografia o un elettrocardiogramma, i pazienti saranno costretti a dirigersi verso i già affollatissimi Pronto Soccorso di Cosenza e Castrovillari. Oppure – per chi può permetterselo – a rivolgersi ai centri privati che nel frattempo hanno iniziato ad accerchiare l’ex ospedale.
È un copione ben noto: si toglie una ruota, si dice che il veicolo non funziona, e si decreta la sua rottamazione. Ma la vera domanda non è “perché dismettere?”, bensì: chi ci guadagna? La risposta è ovvia.

La ristrutturazione mai avviata, la dignità lasciata marcire
Esiste un finanziamento da oltre 8 milioni di euro per riqualificare l’ex Ospedale “Pasteur”. I fondi ci sono, i progetti esecutivi anche. Tutto è pronto. Eppure, nulla si muove: nessuna gara, nessun cantiere, nessuna comunicazione.
Nel frattempo, la struttura cade a pezzi. Giorno dopo giorno diventa meno idonea, meno difendibile, meno utile. È il meccanismo ben noto della decadenza programmata: lasciare deperire ciò che si vuole demolire, così da renderne l’abbandono ragionevole. Ma non è incuria, è una scelta.
A San Marco Argentano non è in discussione un edificio o un reparto. È sotto attacco l’intero modello di sanità pubblica territoriale, fatto di prossimità ed accessibilità. La posta in gioco è altissima: si tratta di decidere se la salute debba restare un diritto collettivo o diventare l’ennesimo business.
Le comunità locali devono scegliere: continuare a essere spettatrici di questo smantellamento silenzioso, oppure alzare la voce prima che sia troppo tardi. Perché in questo momento, il silenzio non è cautela. È complicità.

© Riproduzione riservata

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