“Lo scienziato come ribelle” è un libro dall’andamento desultorio che genera alla lettura picchi e brusche ricadute del pensiero simili a quelli tragicamente tracciati dai sismografi.
“Il campeggio di Duttogliano” di Tullio Kezich si presta perfettamente ad una lettura spensierata e rilassante sotto l’ombrellone: non è un libro astruso né tantomeno necessita di profonde riflessioni filosofiche che mal si concilierebbero con i torridi anticicloni dai nomi bislacchi che continuano a farci visita in questi giorni.
“Leoncavallo blues” è un libro scomodo, uno di quei testi che inevitabilmente inducono a riflettere e porsi degli interrogativi che, forse, non troveranno mai una soluzione.
Paolo Giordano, con la sua laurea in fisica teorica, si inserisce sommessamente in un filone letterario che ha tra i protagonisti indiscussi Carlo Emilio Gadda, Mario Tobino, Carlo e Primo Levi:
“Credere significa stare sull’orlo dell’abisso oscuro, e udire una voce che grida gèttati, ti prenderò fra le mie braccia!”. Con queste parole il filosofo Søren Kierkegaard delineava l’atteggiamento di totale fiducia del cristiano nei confronti di un Dio che diventa scommessa o comunque rischio da accettare; con la medesima immagine mi piacerebbe introdurre la recensione di “Profumo di lavanda” di Paolo Brosio.
Tempo addietro, sulle colonne di questa stessa testata, ebbi modo di recensire “Memorie di un esorcista”, testo estremamente interessante, frutto di un’intervista condotta da Marco Tosatti a padre Gabriele Amorth, uno dei più noti esorcisti a livello internazionale.