Abolizione dei voucher, l'intervento di Di Iacovo (Confial)
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COSENZA - (Comunicato stampa) «“Sul mio lavoro niente sconti!”. Era il tema di uno dei tanti convegni al quale ho partecipato l’altro anno quale relatore». Così Benedetto Di Iacovo, Coordinatore Nazionale CONF.I.A.L., scrive in una nota in cui prosegue: «Lo slogan era e resta efficace e rappresenta in pieno il senso distorsivo che, nel tempo, si è dato ad uno strumento di flessibilità del quale si è abusato e che poteva arricchire le modalità operative di utilizzo di manodopera occasionale non preventivabile in alcuni e limitati settori specifici e archi temporali, nonché per alcune definite e limitatissime prestazioni lavorative non preventivabili e non rientranti nelle tipologie delle figure professionali regolate dai C.C.N.L..
Risulta chiaro ai più che per i lavori occasionali, come quelli di assistenza domestica, di pulizie, di assistenza anziani o infanzia, per lavori di giardinaggio etc., in assenza di regolamentazione del lavoro occasionale ed accessorio, il ritorno al dilagare del lavoro nero è garantito, atteso che circa il 55% dei percettori interessa lavoratori percettori di ammortizzatori sociali, il 10% pensionati, il14% giovani inoccupati alla ricerca di prima occupazione. D’altra parte, non va dimenticato che il mercato del lavoro italiano irregolare presenta punte di circa 3.000.000 di lavoratori interessati con circa 270 miliardi di € l’anno di economia sommersa, di cui almeno 100 miliardi risultano essere mancate imposte erariali e contributi previdenziali evasi per lo Stato. La Calabria partecipa con circa 5, 2 miliardi di sommerso annui, con circa 1,8 miliardi di imposte previdenziali e fiscali evase. Non essendoci dubbio alcuno che dietro i voucher si sia celata una forma estrema di precariato e di lavoro nero camuffato, si è solo cercato di arginare una piaga che danneggia e rende ancora più incerti gli occupati e che crea un danno considerevole alle imprese oneste che usano le forme di lavoro previste dai contratti flessibili alterando al ribasso le ragioni della concorrenza.
La decisione del governo di abrogare, tout court, per decreto i voucher, evitando così il referendum promosso dalla Cgil, si presta a più considerazioni di natura politica, sindacale e giuslavoristica.
Sul piano politico il governo Gentiloni, per evitare una nuova prova referendaria destabilizzante per la sua stessa tenuta, ha eliminato l’oggetto del contendere, quei voucher che rappresentavano una modalità di retribuzione per il lavoro occasionale di tipo accessorio, al centro delle polemiche per aver precarizzato ulteriormente le prestazioni di lavoro. Una scelta saggia che, sul piano politico, costituisce una nuova sconfitta, questa volta postuma, per il governo Renzi, che aveva difeso strenuamente un istituto “ereditato” dagli esecutivi del centrodestra guidati da Berlusconi, condividendone la cultura della flessibilità e della deregolazione delle tutele lavoristiche.
Il potere indiretto sul governo esercitato da parte della Cgil, che aveva promosso da sola il referendum sui voucher (assieme a quelli sugli appalti e sul ripristino dell’art. 18 in materia di licenziamenti, quest’ultimo non ammesso dalla Corte costituzionale), è evidente, a fronte della posizione pilatesca di Cisl e Uil, senza doversi cimentare in una consultazione resa assai problematica dal difficile raggiungimento del quorum.
Adesso, però, è tempo di una riflessione più ampia sul tema dei diritti del lavoro in Italia. Dal 1997 abbiamo assistito ad una serie di interventi legislativi, tutti rivolti ad introdurre maggiore flessibilizzazione sul mercato e nel rapporto di lavoro, di tipo alluvionale, sovente contradditori e senza collegamenti.
Dal “Pacchetto-Treu”, la legge-delega n.196/1997, alla “Legge-Biagi”, la n.30 del 2003 attuata dal decreto legislativo n.276 dello stesso anno, sino ai provvedimenti del governo Monti con la “Legge Fornero” (la n.92/2012) e al cosiddetto Job Act, quest’ultimo una vera e propria riscrittura peggiorativa di una serie di istituti di tutela del mondo del lavoro come licenziamenti individuali e collettivi, mansioni e qualifiche, attraverso vari decreti legislativi tra il 2014 e il 2015, voluti dall’allora premier Renzi e dal ministro del Lavoro Poletti, che hanno recepito le indicazioni confindustriali e dell’amministratore delegato di Fca-Fiat Marchionne.
C’è bisogno di una riscrittura generale della disciplina lavoristica, per questo c’è bisogno di un vero e organico codice del lavoro, sul modello francese, al cui interno inserire in forma coordinata le disposizioni del codice civile in materia di subordinazione, lo Statuto dei lavoratori e gli altri provvedimenti di legge intervenuti, sfoltendo la normativa e predisponendo una generale semplificazione, a beneficio degli interpreti del diritto del lavoro e, soprattutto, dei contraenti il contratto di lavoro: dipendenti e aziende».
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